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NUMERO 2 - 25/01/2017

 L'Italicum all'esame della Corte costituzionale: alcune osservazioni a sostegno dell'inammissibilità

Dall’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso il mondo politico gira (e si avvolge) intorno al quesito sul quando e come andare votare, considerati, da un lato, il palese sconfessamento dell’attività politico-legislativa condotta dalla maggioranza di governo da parte del corpo elettorale, che renderebbe dovuto lo scioglimento anticipato delle Camere; e, dall’altro, l’attuale disomogeneità tra i sistemi elettorali vigenti ed il connesso rischio di dar adito a maggioranza diverse nelle due Assemblee, a fronte di un Parlamento che resta organizzato nelle forme (e secondo i principi) di un bicameralismo paritario. Invero, da un lato il cd. “Consultellum”, vale a dire ciò che residua della legge elettorale n. 270 del 2005 dopo gli interventi censori operati dalla Corte costituzionale con la sent. n. 1 del 2014 per il Senato; e, dall’altro, l’avvenuta entrata in vigore della legge n. 52 del 2015 (cd. “Italicum”), pensata solo per la Camera dei deputati nell’ottica del bicameralismo differenziato previsto dalla ormai tramontata legge di revisione “Renzi-Boschi”, hanno finito nel loro insieme per determinare quello che può essere considerato un vero e proprio ossimoro. Tale, infatti, potrebbe considerarsi la presenza nell’ordinamento di leggi “costituzionalmente necessarie” quali sono - secondo le consolidate (e ormai risalenti) conclusioni del Giudice costituzionale –  le legge elettorali, per l’esigenza di garantire continuità agli organi costituzionali (e di rilievo costituzionale), ma che per il metodo che quelle attualmente in vigore per le Camere predispongono - proporzionale, l’una; con forti correttivi (e quindi dal funzionamento) in senso maggioritario, l’altra - finiscono in questo momento per “congelare” la composizione del Parlamento ancora paritario (è bene ribadirlo), impedendone nei fatti il rinnovamento. In tal modo si verifica l’effetto pure paventato dalla Consulta allorché nella “paralisi, anche soltanto temporanea, dei meccanismi giuridici per il rinnovo delle Assemblee parlamentari” individuava il rischio del blocco dell’intero sistema di democrazia rappresentativa, così come dello stesso potere presidenziale di scioglimento anticipato delle Camere. A fronte di questo paradosso per il diritto costituzionale si manifesta l’incapacità della politica a risolverlo, intervenendo risolutivamente a modificare l’una, se non entrambe le leggi, al fine di rendere omogenei (e quindi adeguati al persistente impianto di bicameralismo perfetto) i relativi sistemi elettorali. Vero è che si sta consolidando, già a livello internazionale, il principio secondo cui le leggi elettorali non si cambiano nell’anno precedente le votazioni, che, con riferimento alla scadenza naturale della legislatura in corso, dovrebbero tenersi nella primavera del 2018. Ma è ancora più vero che la sostanziale incapacità dei partiti di raggiungere il necessario accordo trova oggi sponda nell’imminente intervento della Corte costituzionale, reiteratamente sollecitata a pronunciarsi sulla legge 52 del 2015 e che – com’è noto – ha da tempo fissato la discussione delle diverse questioni sollevate e ormai riunite per l’udienza del 24 gennaio prossimo. Pertanto, appare a molti comodo, ad altri utile attendere il previo intervento della Consulta, chiamata, in un certo senso, a fissare i paletti entro cui dovrà muoversi il legislatore se e quando davvero vorrà mettere mano alla riforma elettorale. E sempre che, come pure si suppone, non si decida di tornare alle urne subito dopo la pronuncia del Giudice costituzionale, votando con il “Consultellum” per il Senato e con il “Consultellum 2” ovvero, il “Legalicum” (come pure si definisce il sistema elettorale che residuerebbe dopo l’imminente pronuncia del Giudice delle leggi) per la Camera, in quanto effetto di sentenze (si suppone entrambe) autoapplicative... (segue)



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