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FOCUS - Fonti del diritto N. 1 - 17/02/2017

 Ruolo e funzioni del rinvio pregiudiziale nell'interpretazione delle direttive dell’Unione europea: il caso della relazione fra giudici italiani e Corte di Giustizia

È da tempo noto agli studiosi dell’integrazione fra ordinamenti statali e ordinamento dell’Unione europea il compito cruciale svolto dal rinvio pregiudiziale ai fini della diffusione capillare del diritto eurounitario e dell’armonizzazione della normativa degli Stati membri nelle sue applicazioni concrete. Così come è noto il particolare ruolo occupato, a tale proposito, dalla progressiva valorizzazione dell’attività interpretativa, della quale la Corte di giustizia ha promosso un preciso orientamento, una tensione verso il fine di promuovere in sede giudiziale – e dunque immediatamente applicativa – quell’uniformazione e diretta implementazione del diritto eurounitario spesso troppo lentamente portata avanti dai legislatori statali (in particolar modo, lo si sa, da quello italiano). È senz’altro guardando a questo scopo, ad esempio, che la CGE ha iniziato a sostenere, quale corollario del primato del diritto UE, l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno a quello eurounitario, con particolare attenzione alla normativa che – non direttamente ed immediatamente applicabile – richiede di perseguire i fini comuni europei ancor prima e nelle more del processo di trasposizione o, ove attuata in sede statale, richiede di svolgere un riscontro circa la rispondenza dell’implementazione interna ai fini, agli scopi e ai princìpi indicati in sede sovranazionale. Al perseguimento dello stesso obiettivo si rivolgono poi ulteriori meccanismi, precisati ed intensificati ancora una volta in via pretoria dalla Corte di giustizia: si pensi, ad esempio, all’esplicitazione del divieto per gli Stati membri di applicare una normativa interna che possa pregiudicare gli obiettivi perseguiti da una direttiva, privandola del proprio “effetto utile”, o alla costante opera di precisazione delle condizioni ed intensificazione della portata dell’efficacia diretta delle direttive europee in caso di mancata o non corretta trasposizione, oppure ancora all’esplicitazione della responsabilità dello Stato in caso di mancato o insoddisfacente adempimento della normativa europea da cui scaturisca un danno per il privato; responsabilità che, non a caso, si è andata progressivamente riferendo in maniera sempre più specifica ai giudici, alla loro attività interpretativa, alla dimostrazione dell’adempimento dell’onere di interpretazione conforme al diritto europeo ed al perseguimento di ogni possibile tentativo in tal senso (incluso, sempre non a caso, il sollevamento della questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di giustizia, ove il giudice nazionale decidente sia di ultima istanza). Su ciascuno di questi elementi si avrà modo di tornare ripetutamente nel corso dello scritto, che, mantenendo sullo sfondo questo quadro di riferimento, intende svolgere un riscontro empirico del ruolo svolto dal rinvio pregiudiziale nell’interpretazione delle direttive europee, per verificare il reale impatto di tale – oramai cruciale – luogo di snodo dell’attività ermeneutica e il concreto atteggiamento del Giudice europeo dinnanzi alle questioni ad esso rivolte. Posto, infatti, che la letteratura sul tema è oramai sterminata, si è scelto qui di provare a partire – per così dire – “dal basso”, ossia dall’analisi di alcuni casi particolarmente significativi per la relazione fra giudici italiani e Corte di giustizia, al fine di valutare quanto la Corte del Lussemburgo faccia uso dell’armamentario da essa progressivamente costruito al fine di incentivare l’opera di armonizzazione della normativa statale a quella europea e per verificare se il suo atteggiamento vari – o meno – a seconda della materia sulla quale viene chiamata ad esprimersi (se muti, in particolare, nel caso in cui entrino in gioco diritti di rilievo costituzionale)... (segue)



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