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NUMERO 4 - 22/02/2017

 La sanzione amministrativa tra garanzie costituzionali e principi CEDU

Il tema delle sanzioni amministrative è stato sottoposto, negli ultimi anni, a una profonda revisione critica: ciò soprattutto in ragione dell’influenza crescente esercitata da alcune ricostruzioni emerse nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e progressivamente accolte nel nostro e in altri ordinamenti europei. Il punto di partenza di tale processo evolutivo è stato il riconoscimento, da parte dei giudici di Strasburgo, della natura sostanzialmente “penale”, ai sensi degli artt. 6 e 7 CEDU, di molte sanzioni che tradizionalmente venivano qualificate come amministrative. Peraltro, in tale contesto sono state ricondotte alla “materia penale” non solo misure chiaramente connotate da un carattere punitivo/afflittivo (quali le sanzioni amministrative pecuniarie disciplinate nel nostro Paese dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, comprese quelle irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti), ma altresì tutta una serie di provvedimenti nei quali è ben percepibile un elemento di cura in concreto dell’interesse pubblico. Seguendo un approccio marcatamente sostanziale, la giurisprudenza di Strasburgo ha dunque superato anche la distinzione, classica nel nostro ordinamento, tra sanzioni in senso stretto e provvedimenti ablatori-ripristinatori. Le prime, qualificabili come «pene in senso tecnico» in ragione del loro carattere esclusivamente (o prevalentemente) afflittivo, erano assistite dalle garanzie procedimentali e giurisdizionali di cui alla l. n. 689 del 1981. I secondi, qualificabili come sanzioni solo in senso lato in quanto, in realtà, preordinati alla cura in concreto dell’interesse pubblico, erano esclusi dalle particolari garanzie che dovevano assistere la funzione sanzionatoria amministrativa: ad essi si applicavano semmai le previsioni della l. n. 241 del 1990. Viceversa, per la Corte europea dei diritti dell’uomo sono sostanzialmente “penali” non solo quei provvedimenti nei quali la componente di cura in concreto dell’interesse pubblico si affianca a finalità punitive; bensì, più in generale, ogni misura prevista dall’ordinamento come reazione alla commissione di un illecito e purché connotata da un certo grado di severità, anche ove di tipo interdittivo o con finalità ripristinatorie-reali. La suddetta prospettiva sostanziale, flessibile ed estensiva ha determinato la naturale applicabilità a tutti i provvedimenti sanzionatori amministrativi (compresi, come si è detto, molti di quelli tradizionalmente ritenuti tali solo in senso lato) di una serie di importanti garanzie che, nel nostro ordinamento, erano state confinate all’ambito penalistico: in particolare, il riferimento è alle garanzie dell’equo processo di cui all’art. 6 della CEDU (che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, dovrebbero essere assicurate, in linea di principio, già nella fase di irrogazione delle sanzioni aventi un carattere “penale”); ma anche alle garanzie derivanti dal principio di legalità di cui all’art. 7 CEDU ai sensi del quale «Nessuno può essere condannato per una azione o omissione che, al momento in cui è stata connessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale». Sicché, in termini molto sintetici, si può dire che la Corte di Strasburgo abbia slegato l’applicabilità delle garanzie di matrice penalistica previste dalla CEDU dal criterio della qualificazione formale rivestita da un determinato illecito nell’ordinamento nazionale. E ciò è stato possibile in quanto essa ha elaborato una nozione di sanzione penale “autonoma” rispetto a quella fatta propria nei vari ordinamenti nazionali e ancorata alla sussistenza dei tre criteri (noti come criteri Engel, dal nome della sentenza nella quale per la prima volta sono stati elaborati) della qualificazione data all’illecito dal diritto interno, del carattere punitivo e non meramente risarcitorio o ripristinatorio della sanzione irrogata e, anche in alternativa a quest’ultimo, della gravità della stessa. Come ben colto di recente anche dalla Corte costituzionale italiana, l’obiettivo fondamentale in vista del quale si è costruito l’intero insegnamento dei giudici di Strasburgo in punto di sanzioni amministrative è stato verosimilmente quello di evitare che, attraverso l’opzione per la forma della sanzione amministrativa, andasse «disperso il fascio delle tutele che aveva storicamente accompagnato lo sviluppo del diritto penale, e alla cui difesa la CEDU è preposta»... (segue) 



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