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NUMERO 5 - 08/03/2017

 Il controllo democratico della politica monetaria: equilibri costituzionali e integrazione europea dopo le sentenze OMT

Nel quadro dell’approccio di contenimento degli effetti della crisi del debito sovrano, la BCE ha svolto un ruolo decisivo nel sostegno ai paesi dell’Eurozona, in particolare attraverso la messa a punto di operazioni di politica monetaria non convenzionale consistenti nell’acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato secondario (Securities market programmeOutright monetary transaction, quantitative easing). Peraltro, l’operato della Banca centrale europea è stato in più occasioni oggetto di contestazioni, specialmente in relazione alle lettere con le quali la BCE ha condizionato l’acquisto dei suddetti titoli all’accettazione di specifiche raccomandazioni in materia di politiche economiche. Più in generale, è stato contestato alla BCE di aver “bypassato” le norme dei Trattati che vietano aiuti finanziari agli stati membri (art. 123-125 TFUE) nonché di aver adottato misure di politica economica, materia ancora rientrante nelle attribuzioni degli stati membri. Sul punto è intervenuta la sentenza del 16 giugno 2015 con la quale la Corte di giustizia – a seguito del primo rinvio pregiudiziale del Tribunale costituzionale federale tedesco (c.d. sentenza OMT I) – ha escluso una incompatibilità delle Outright monetary transaction con il diritto dell’Unione europea. Come è stato osservato, la decisione dei giudici di Lussemburgo chiarisce che la esclusività della politica monetaria deve considerarsi unidirezionale: «nel senso che, mentre vi è un campo di azione riservato per tecnica e finalità, alla BCE, questa potrà invece, con mezzi non convenzionali, perseguire obiettivi economici quando questi sono determinati dalla necessità di evitare il collasso dell’Eurozona, cioè quando sia minacciata la stessa esistenza dell’Unione monetaria». Con una decisione del 21 giugno 2016, il Bundesverfassungsgericht ha confermato che il programma OMT – nella interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia – non costituisce uno sconfinamento manifesto delle competenze attribuite dai Trattati (c.d. sentenza OMT II). Nella decisione della corte tedesca non mancano tuttavia osservazioni critiche rispetto alla linea di ragionamento sviluppata dai giudici di Lussemburgo, specialmente in relazione alla presunzione che le OMT siano provvedimenti di politica monetaria. Da qui l’individuazione di un “vademecum” di condizioni che la Corte di Karlsruhe si è riservata di applicare in futuro al fine di valutare la legittimità delle misure non convenzionali poste in essere dalla BCE. Nel complesso, la crisi finanziaria e dei debiti sovrani sembrerebbe aver segnalato un mutamento del ruolo della BCE, non solo per via dell’impegno di questa istituzione nell’ambito delle operazioni straordinarie di natura non convenzionale, ma anche a causa della funzione consultiva di fatto svolta nella definizione dei piani di salvataggio degli stati debitori. Questo “enlargement of functions” della BCE ha riproposto con forza il problema della legittimazione democratica della Banca centrale europea. Come è noto – fin dalla sua istituzione – sono state avanzate riserve circa la legittimazione di una autorità monetaria sovrannazionale la quale è chiamata a operare a una certa distanza dall’ordinario processo democratico: l’esigenza di tutelare il valore della stabilità di una moneta di natura fiduciaria aveva reso necessaria infatti la sottrazione delle decisioni di politica monetaria all’arena politica per devolverle a un soggetto indipendente schermato dal principio della rappresentanza. Vero è che lo speciale status di autonomia della BCE è stato consacrato nel diritto primario dell’Unione nel rispetto delle procedure di revisione dei Trattati e secondo procedure pienamente democratiche anche a livello nazionale. In effetti, è difficile sostenere che un siffatto processo di trasformazione istituzionale «sia avvenuto senza che i cittadini europei potessero accorgersene». Per altro verso, tuttavia, proprio la circostanza che questa “deroga” alle normali dinamiche democratiche sia stata irrigidita nei Trattati ha ulteriormente indebolito la posizione dei Parlamenti. Questi ultimi sono stati infatti privati del tradizionale potere che avevano esercitato nei confronti del titolare della politica monetaria – e che altri Parlamenti (in primis il Congresso statunitense) – continuano a esercitare, vale a dire la possibilità di far valere eventuali responsabilità attraverso la modifica del quadro legislativo di riferimento... (segue)



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