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NUMERO 11 - 31/05/2017

 Il Judicial federalism degli Stati Uniti

Da un diverso punto di vista, la scarsa rilevanza degli studi comparatistici sul federalismo giurisdizionale è stata attribuita non solo al dato empirico sopra riportato, ma anche ad un elemento culturale, connesso alla figura del giudice post giacobino, cioè al giudice-funzionario, soggetto alla legge della quale si deve limitare ad enunciare l’applicazione al caso concreto e che dunque non può essere espressione di diverse (porzioni di) sovranità. A tale impostazione, ben radicata nella tradizione giuridica continentale, si può anche sommare quella secondo la quale la giurisdizione richiede per sua natura un esercizio unitario, risalente alla dottrina kelseniana per la quale la legge non tollera diverse applicazioni da parte di ordinamenti giudiziari distinti. Peraltro, in modo per certi versi paradossale, anche nella tradizione costituzionale statunitense sembrerebbe potersi rinvenire una scarsa valutazione del federalismo giurisdizionale, se non altro per il fatto che, almeno nel suo primo secolo, la dottrina costituzionale statunitense ha sottovalutato il “pericolo” del potere giurisdizionale, notoriamente definito come la least dangerous branch.  Se dunque il federalismo, inteso come separazione dei poteri di tipo verticale, al pari della separazione dei poteri orizzontale, è finalizzato a limitare il potere pubblico attraverso la messa in competizione di organi dotati di poteri sovrapposti nei due livelli di governo (federale e statale), allora tale contrapposizione non è così necessaria per il potere giurisdizionale il quale non costituisce una minaccia per le libertà individuali del cittadino, come lo sono invece il potere legislativo e quello esecutivo. In altre parole, secondo questa ricostruzione, i padri costituenti di Filadelfia non si preoccuparono di costruire un forte potere giudiziario federale da contrapporre a quello degli stati membri sul presupposto che, tanto, il potere giudiziario in generale non costituiva una seria minaccia alla libertà individuale e dunque non risultava necessario creare una contrapposizione tra il giudiziario federale e quello statale. È banale ricordare che attualmente nessuno nega l’estrema rilevanza del giudiziario federale nel sistema statunitense, ma forse l’analisi sopra riportata può contribuire a spiegare perché ancora oggi negli Stati Uniti il livello di decentramento del potere giudiziario è, almeno apparentemente, più forte di quello del potere legislativo, come si vedrà nei paragrafi successivi. Peraltro, la mancanza di studi comparatistici sul federalismo giudiziario riguarda anche la dottrina statunitense, la quale ha analizzato in modo assai accurato il proprio Judicial Federalism, ma raramente ne ha colto lo spunto per verificare la diffusione del modello in altri ordinamenti giuridici. A fronte di questo ormai accertato scarso interesse degli studi comparatistici per il federalismo giurisdizionale, sta invece la particolare rilevanza che tali studi potrebbero rivestire sia, in generale, perché “lo studio del modello di ripartizione-allocazione del potere giudiziario negli ordinamenti complessi è rilevante per comprendere il modo di essere e di evolvere della forma dell’ordinamento stesso”, sia in particolare, in relazione alle tecniche di tutela dei diritti fondamentali all’interno di ciascun ordinamento. È in questa seconda accezione che viene di seguito brevemente delineato il modello del Judicial Federalism negli Stati Uniti:  si tratta di verificare se tale particolare configurazione del rapporto tra potere giudiziario federale e potere giudiziario statale incide sulla tutela dei diritti fondamentali, oppure se l’assetto del federalismo giurisdizionale statunitense può ritenersi neutrale rispetto a tale problema. Prima di affrontare il tema, che presenta alcuni inevitabili tecnicismi, pare opportuno ricordare che l’evoluzione costituzionale statunitense vede un continuo intrecciarsi tra questioni  relative al federalismo ed evoluzione nella tutela dei diritti. Ci si deve in proposito limitare a citare proprio i due turning points della storia costituzionale degli Stati Uniti: la guerra civile, dove l’abolizione della schiavitù era sorta nell’ambito di un forte contrasto circa il modo di intendere i rapporti all’interno dello Stato federale (o meglio, confederale) ed il New Deal, quando la forzatura imposta da Roosvelt alla Corte Suprema dovette passare attraverso una interpretazione assai ampia della Commerce Clause, per attrarre nella competenza legislativa federale le materie economiche necessarie a consentire al Congresso federale di introdurre alcuni diritti sociali... (segue)



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