
E’ notizia di queste settimane che la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha deciso che sarà la Grande Chambre a trattare il ricorso Berlusconi c. Italia. Ovvero il ricorso che ha ad oggetto l’applicazione a Silvio Berlusconi delle disposizioni del decreto legislativo n. 235 del 2012, c.d. “decreto Severino” comportanti l’incandidabilità e la relativa decadenza dal mandato parlamentare. E’ una notizia positiva. Prova che la Corte è consapevole della delicatezza e rilevanza delle questioni poste al suo esame. Ma c’è un aspetto che, invece, è rimasto sullo sfondo e che non ha ricevuto l’attenzione che merita. Ed è il “fattore tempo”. Il tempo come elemento che lega insieme, in modo inscindibile, sfaccettati aspetti di questa complessa storia. Se ne possono individuare almeno tre. Vi è il tempo nel suo profilo sostanziale, ovvero la valutazione circa la legittimità dell’applicazione retroattiva a Silvio Berlusconi delle disposizioni del decreto Severino alla luce della giurisprudenza di Strasburgo. Vi è, poi, il tempo nel suo profilo processuale, ovvero il tempo di attesa, da parte di Silvio Berlusconi, della definizione del ricorso da parte dei giudici di Strasburgo. Vi è, infine, il tempo politico, ovvero quali conseguenze determina la non tempestiva definizione della vicenda sul quadro politico-istituzionale italiano. Sotto il primo aspetto, ovvero la legittimità dell’applicazione retroattiva del decreto Severino, i termini della questione sono noti. Il 1 agosto 2013 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattro anni di reclusione per Silvio Berlusconi per il reato di frode fiscale in relazione a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto Severino. Tale decreto prevede che nei confronti di coloro i quali hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione - per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni - si applichi la misura dell'incandidabilità per un periodo minimo di sei anni. Silvio Berlusconi è stato, in virtù di ciò, dichiarato decaduto dal mandato parlamentare ed ha presentato ricorso alla Corte di Strasburgo lamentando, tra i vari profili, la violazione dell'art. 7 Cedu, ovvero del principio nulla poena sine lege (“Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”). Una incandidabilità sopravvenuta la cui “tenuta costituzionale” ha fatto discutere non poco sotto il profilo, tra gli altri, della salvaguardia della certezza del diritto, declinata nel significato di conoscibilità delle conseguenze giuridiche legate alla condotta individuale, specie se limitative di una libertà fondamentale. Ma il giudice italiano ha escluso che il principio di irretroattività possa trovare applicazione rispetto alle disposizioni ora censurate. Tali disposizioni sono state considerate, infatti, non sanzioni penali (o effetti penali della condanna), ma mere conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate (o per il loro mantenimento)... (segue)
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