
In queste ore la Camera sta scrivendo, non senza sussulti, la legge con cui saremo chiamati a votare in autunno o, al massimo, a fine inverno. Una legge che viene definita “alla tedesca”, ma che di tedesco ha poco. Venuto meno il voto disgiunto e messi in secondo piano i collegi uninominali, resta soltanto la soglia di sbarramento al 5% (forse un po’ troppo alta in un paese a rappresentanza pluralista e frammentata come il nostro: alle ultime consultazioni al Quirinale si sono contate 23 delegazioni e in Parlamento oggi siedono una ventina di Gruppi). E’ sostanzialmente un proporzionale senza premio di maggioranza, che non ci darà un vincitore la sera delle elezioni. E che ci farà scegliere gli onorevoli in collegi uninominali e in liste bloccate senza preferenza. In pratica avremmo (condizionale d’obbligo) un parlamento tutto di nominati. Già a prima analisi, su un testo provvisorio e comunque con i collegi da disegnare, emergono perplessità. In primo luogo sulla costituzionalità. Come ben sappiamo, negli ultimi anni il nostro Parlamento ha fatto parecchia fatica a scrivere una legge elettorale conforme ai principi costituzionali. E quindi è dovuta intervenire per due volte la Corte costituzionale, soprattutto per evitare premi di maggioranza troppo distorsivi e per consentire all’elettore un margine di scelta dei propri rappresentanti. Così è stato dichiarato incostituzionale il c.d Porcellum per la “circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, [il] che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione” (sent. n. 1 del 2014). Mentre ha superato lo scrutinio della Corte il c.d Italicum, in cui accanto ai capilista bloccati l’elettore poteva esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso (sent. n. 35 del 2017)... (segue)
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