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NUMERO 12 - 14/06/2017

 Studio sulle forme alternative di judicial review: il caso dei Paesi Bassi e della Svizzera

L’obiettivo di questo articolo è quello di comparare due esperienze nazionali diverse, ma accomunate dalla scoperta di forme alternative di judicial review escogitate dai giudici per compensare il divieto nei rispettivi ordinamenti di controllo di costituzionalità delle leggi. Se, nel caso olandese, per l’art. 120 della Grondwet (la Legge fondamentale) il divieto è “totale”, nel caso svizzero, le uniche leggi sottratte al controllo di costituzionalità sono quelle federali, che godono di una vera e propria “immunité” sulla base di quanto disposto dall’art. 190 della Costituzione svizzera. Questa differenza è comprensibile solo tenendo in considerazione l’importanza che l’elemento federale ha nell’ordinamento elvetico, ed è proprio tale fattore che spiega, come vedremo, l’originario ruolo pensato per il Tribunale federale, quello di garante del diritto federale e della corretta distribuzione delle competenze fra centro e periferia. La selezione dei due casi di studio proposti si giustifica innanzitutto alla luce della grande apertura al diritto internazionale che li caratterizza. Inoltre, sia nel caso olandese sia in quello svizzero, tale apertura si combina virtuosamente con la scelta monista (radicale, nel caso olandese, moderata, in quello elvetico) che ha permesso ai giudici nazionali di utilizzare lo strumentario delle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, in primis la CEDU, per esercitare quel controllo sull’attività del legislatore che era stato loro precluso dalle scelte dei costituenti. In entrambi i casi il divieto di judicial review può essere spiegato con il tentativo di evitare che il potere giudiziario possa interferire con due diverse declinazioni del principio di sovranità. Nel caso olandese, la dottrina (infra) ha trovato il modello di riferimento in quello britannico, nello specifico nel principio di sovranità parlamentare combinato, però, con un sistema monista. Proprio la “chimica” fra questi due fattori spiega il diverso impatto che nel sistema olandese ha avuto la CEDU rispetto al sistema britannico. L’impatto dello Human Rights Act del 1998 , infatti, pur non trascurabile, non ha mai portato, anche per i noti limiti della declaration of incompatibility, alla diffusione di forme alternative di judicial review comparabili a quelle sviluppatesi nei Paesi Bassi.  Nel caso svizzero, invece, vi è da considerare anche la grande importanza che hanno gli istituti di democrazia diretta. È noto come la dottrina svizzera scorga nell’uso del referendum un espediente che, in parte, compensa la mancanza di un controllo giurisdizionale delle leggi federali, assicurando così che il popolo possa sorvegliare sull’operato dei rappresentanti. Nelle pagine successive si sottolineerà, in questo senso, l’importanza che la particolare dinamica centro – periferia ha avuto nella genesi dell’art. 190 (e, prima, dell’ art. 113) della Costituzione svizzera. In entrambe le esperienze analizzate in questo contributo ci sono stati dei tentativi di emendare il testo costituzionale che, però, non hanno avuto esito. Si vedrà come la Grondwet olandese risponda a un tipo di costituzionalismo evolutivo, e qualcosa di parzialmente simile può essere detto anche per quella elvetica, dato che, come ha ricordato Steinberg, “Switzerland is not governed by its constitution; its constitution reflects how it is governed”, come testimoniato, del resto, dalla lunga catena di revisioni costituzionali. Il caso olandese ha suscitato negli ultimi anni molto interesse nella comunità dei comparatisti, principalmente per due ragioni. Da un lato, la recente produzione in inglese di importanti volumi di colleghi olandesi ha favorito la circolazione di approfondite trattazioni di quelle che in questo saggio chiameremo le forme alternative di judicial review nei Paesi Bassi. Dall’altro, il dibattito sulla possibilità di introdurre per i giudici olandesi il potere di controllare la costituzionalità delle leggi del Parlamento ha dato nuova linfa alla riflessione. Specie il primo fattore ha permesso il superamento di alcuni cliché che avevano contribuito alla diffusione di un’idea fuorviante del modello olandese all’estero. È questo il caso di un noto saggio di Tushnet, in cui si scorgeva nel dettato dell’art. 120 della Legge fondamentale olandese un modello a livello comparato per l’introduzione di un esplicito divieto di judicial review nella Costituzione statunitense. In realtà, un’attenta analisi del caso olandese dimostra come quest’ultimo sia abbastanza lontano dal modello ricostruito in quel famoso contributo; in questo articolo, si ricostruirà la genesi e la portata del divieto espresso in tale disposizione per poi esplorare le forme alternative di judicial review che si sono sviluppate nei Paesi Bassi. Quanto al caso svizzero, come ricordato, esso è spiegabile anche con l’origine storica del Tribunale federale, “istituito nel 1875 non tanto per tutelare la Costituzione verso il legislatore, quanto piuttosto per assicurare la supremazia del diritto federale su quello cantonale”, lasciando il controllo delle leggi federali al parlamento, secondo un modello che i comparatisti hanno definito “misto”. Il presente contributo è così strutturato: in un primo momento verranno offerte alcune “coordinate” costituzionali con riferimento agli ordinamenti di riferimento; successivamente si analizzerà l’emersione di tali forme alternative di controllo giurisdizionale delle leggi nei due ordinamenti, evidenziando l’importanza che, in entrambi i casi, ha avuto l’apertura costituzionale e, in particolare, quella relativa al sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)... (segue)



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