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NUMERO 14 - 12/07/2017

 I diritti di cittadinanza inclusiva tra esigenze di sicurezza e doveri di solidarietà

La sicurezza dei cittadini e delle comunità e le esigenze di accoglienza e di integrazione degli stranieri sono obiettivi ineludibili, per un Paese come l’Italia che, per un verso, è meta forzata di flussi migratori in costante crescita, in un panorama internazionale segnato dal terrorismo globale e da decine di conflitti locali, e, per altro verso intende comunque restare fedele ai principi del costituzionalismo democratico. L’attuazione delle politiche legate al fenomeno dell’immigrazione interseca inevitabilmente le materie attribuite alla competenza regionale; circostanza che implica la necessaria previsione di un intervento coordinato degli enti di cui si compone la Repubblica, con ampio coinvolgimento delle Regioni e delle istituzioni locali. Sotto questo profilo, da un lato, sarebbe necessario potenziare gli strumenti normativi di tutela di posizioni soggettive non collegate allo status di cittadino, favorendo l’affermazione di una cittadinanza locale (o di residenza, o amministrativa), in termini di titolarità di pretese di prestazioni e di protezione nei confronti degli enti locali più vicini ai cittadini residenti, che prescinda dall’appartenenza originaria alla comunità e valorizzi, invece, il concreto inserimento nella medesima e la cosciente volontà di integrazione ed accettazione del quadro giuridico proprio della collettività nella quale si intende vivere, attuando in concreto il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., tramite l’effettiva partecipazione degli individui all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; dall’altro, al fine di favorire l’accoglienza, ma anche le conseguenti esigenze di integrazione, occorrerebbe promuovere una maggiore responsabilizzazione degli enti territoriali a tutti i livelli, tramite il potenziamento di un circolo virtuoso tra istituzioni pubbliche, privato sociale, volontariato e terzo settore.  Si impongono, pertanto, un’opera di valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale, il potenziamento di strumenti normativi ed amministrativi che consentano di creare concrete prospettive di integrazione, tramite la costruzione di reti sociali, che vedano come attori, da un lato, i privati, organizzati in imprese e cooperative, che potrebbero trarre benefici significativi dall’impiego legale del lavoro immigrato e, dall’altro, gli enti locali, che, dal canto loro, dovrebbero agevolare e semplificare l’accesso ai servizi locali e la fruizione di quelle prestazioni che concorrono a fare sentire l’individuo parte di una comunità solidale. Interessanti spunti in tal senso provengono dalla copiosa giurisprudenza costituzionale relativa ai diritti degli immigrati, che, in relazione all’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, ha affermato che impedire loro “di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta (..) un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza” (sent. n. 119/2015). Il principio di sussidiarietà, nella sua duplice declinazione, influisce sull’organizzazione e sulla distribuzione delle funzioni dei poteri pubblici, nonchè sul rapporto tra sfera pubblica e privata: in presenza di risorse limitate, spetta al legislatore operare una mediazione tra interessi tutti parimenti meritevoli di tutela, alle amministrazioni di puntualizzare le modalità ed i relativi criteri di attuazione, ai giudici la decisione di riconoscere ai relativi precetti immediata efficacia ovvero una interpretazione estensiva delle disposizioni sulla base del principio supremo di uguaglianza; ai privati non manca l’esercizio del potere di iniziativa per l’appunto privata. Sotto il profilo del rapporto tra sfera pubblica ed economico-privata si pone la questione della premialità di quelle organizzazioni che, forti dell’aver conseguito un sicuro radicamento istituzionale e territoriale-sociale, sono in grado di influire, proprio in virtù della limitatezza delle risorse, sulla scelta della quantità e della qualità delle prestazioni da erogare. Ma risiede proprio nella sostenibilità economica dei diritti sociali il punto di mediazione più importante tra i diritti della persona che, proprio perché tali, esigono un livello minimo di solidarietà politica, economica e sociale al di sotto del quale di tutto si può discorrere tranne che di dignità, punto di vero bilanciamento di diritti fondamentali ed interessi... (segue)



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