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NUMERO 14 - 12/07/2017

 La presunzione di sicurezza nel sistema di Dublino

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con una recente pronuncia, ha aggiunto un ulteriore tassello nella definizione degli obblighi degli Stati membri derivanti dal cd. regolamento Dublino III. Alla Corte è stato chiesto di chiarire se il divieto di trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente all’esame della domanda di protezione internazionale, all’interno del quale sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, sia sufficiente a garantire la tutela della persona dal rischio di subire tali trattamenti o se invece, anche in assenza di carenze sistemiche, le autorità dello Stato che dovrebbero effettuare il trasferimento debbano garantire la tutela dei diritti fondamentali “assoluti” della persona a fronte di qualunque circostanza che obiettivamente li possa mettere in pericolo. Nella fattispecie, infatti, non veniva contestata né la presenza di carenze sistemiche nel sistema di accoglienza dello Stato, né la violazione dei diritti della persona nel singolo caso. Si faceva valere, invece, che il mero trasferimento, indipendentemente dalla qualità dell’accoglienza e delle cure disponibili nello Stato membro competente per l’esame della sua domanda, avrebbe integrato un trattamento inumano e degradante in quanto avrebbe determinato un deterioramento significativo e irrimediabile dello stato di salute della persona. Pertanto non veniva messa in discussione la capacità dello Stato di garantire la tutela dei diritti fondamentali della persona. A scioglimento del dubbio interpretativo, la Corte, ponendosi in una posizione massimamente garantista, ha preliminarmente ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, «le norme di diritto derivato dell’Unione, ivi incluse le disposizioni del regolamento Dublino III, devono essere interpretate e applicate nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta […] [e] [i]l divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, di cui all’articolo 4 della Carta, è, al riguardo, di importanza fondamentale, poiché ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana». Sulla base di tali premesse, ha statuito che «il trasferimento di un richiedente asilo nel contesto del regolamento Dublino III deve essere operato soltanto in condizioni che escludono che tale trasferimento comporti un rischio reale che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta», la cui portata corrisponde a quella dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il rispetto dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione implica non solo che l’esistenza di carenze sistemiche nello Stato membro competente fa venire meno l’obbligo di trasferimento di un richiedente asilo verso detto Stato, ma anche che, in assenza di carenze vuoi sistemiche, vuoi individuali, il trasferimento del richiedente può essere effettuato solo in condizioni in cui sia escluso il verificarsi di qualunque circostanza dalla quale possa obiettivamente derivare un rischio reale e acclarato che l’interessato subisca siffatti trattamenti. Nella pronuncia in commento, la Corte prende atto che nel tenore dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, «nessun elemento indica che l’intento del legislatore dell’Unione sia stato quello di disciplinare una circostanza diversa da quella delle carenze sistemiche che impediscono qualsiasi trasferimento di richiedenti asilo verso uno Stato membro determinato» e che, pertanto, la disposizione «non può essere interpretata nel senso che esclude che considerazioni legate ai rischi reali e acclarati di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, possano, in situazioni eccezionali […], comportare conseguenze in ordine al trasferimento di un richiedente asilo in particolare». Al contrario, l’articolo 4 della Carta, in virtù del proprio carattere di assolutezza, «vieta i trattamenti inumani o degradanti in ogni loro forma». In definitiva, il rispetto dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione esige che gli Stati membri non effettuino alcun trasferimento di richiedenti asilo in situazioni in cui la persona rischi di subire trattamenti inumani e degradanti, ovvero anche quando il rischio derivi da circostanze oggettive diverse dal ricorrere di violazioni sistemiche o individuali A diverso esito era giunto l’avvocato generale nelle proprie conclusioni. Secondo questo, pur se nella sentenza resa nel caso N.S. l’intento della Corte non è stato quello di richiedere che le carenze fossero sistemiche affinché fosse impossibile trasferire il richiedente, ha tuttavia ritenuto che una simile interpretazione sarebbe poco compatibile con il principio di fiducia reciproca, sul quale si fonda il sistema europeo comune di asilo, in virtù del quale «gli Stati membri, tutti rispettosi del principio di non respingimento, sono considerati Stati sicuri per i cittadini di paesi terzi». Pertanto, ai fini del divieto di respingimento verso uno Stato membro dovrebbero venire in rilievo solo quelle carenze che «incidono sullo stesso sistema di asilo dello Stato membro competente». L’avvocato generale, richiamandosi alla sentenza resa nel caso Abdullahi, ha altresì ricordato che secondo la Corte una decisione di trasferimento di un richiedente asilo può formare oggetto di ricorso «“soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo”» nello Stato membro che sarebbe competente all’esame della domanda. In definitiva, la sussistenza di carenze sistemiche sarebbe l’unica ipotesi in cui è impossibile trasferire il richiedente. Tale divieto non si estenderebbe al caso in cui il rischio di trattamento inumano o degradante incida sulla situazione particolare del singolo richiedente. I diversi esiti a cui sono giunti la Corte da una parte e l’avvocato generale dall’altra costituiscono la sintesi di una questione che ha occupato negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza: se la reciproca fiducia che si accordano gli Stati possa essere derogata solo in presenza di carenze sistemiche o anche nel caso di violazioni dei diritti individuali o di situazioni obiettive che prescindono dall’esistenza di defaillances strutturali ma che sono connesse al singolo caso, della quale si cercherà di ricostruire l’evoluzione giurisprudenziale nel presente contributo... (segue)



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