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Nell’elaborare le Linee guida contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione (in sigla, PNA), relativamente all’anno 2016, con riguardo al settore della sanità, è significativa la premessa che fa da introduzione alle indicazioni / raccomandazioni elaborata da tale Autorità. Si tratta di un “approfondimento” – sostiene l’ANAC – che ha quali destinatari a) le Regioni e, poi, b) le organizzazioni sanitarie aziendali. E che si tratti di un “approfondimento” viene chiaramente esplicitato: esso va letto, infatti, come «integrazione delle indicazioni contenute nell’ Aggiornamento 2015 al PNA precedente». “Approfondimento” che si sostanzia in «un insieme di misure, in costante evoluzione, affinamento e miglioramento, concretamente attuabili con gli opportuni adattamenti di contesto e con gli strumenti disponibili». Misure che vanno viste in quanto potenzialmente capaci «di favorire una maggiore (?) capacità di contrasto da parte delle istituzioni sanitarie dei fenomeni corruttivi nel breve/medio periodo». Si tratta, infatti, secondo l’ANAC di misure che – toccando l’organizzazione – dovrebbero preservare il Servizio Sanitario Nazionale (perché non i Servizi Sanitari Regionali?) dal rischio di eventi corruttivi. Non solo. Sempre secondo l’ANAC, si tratta di misure che servirebbero ad «innalzare il livello globale di integrità, di competenza e di produttività del sistema sanitario nazionale a partire dall’aumento dell’efficacia e dell’efficienza delle singole unità operative in cui si articola». È a questo punto del ragionamento che l’ANAC entra in un territorio che dovrebbe essere sottoposto ad analisi per ragioni di natura istituzionale, dalla Corte dei conti e, in particolare, dalle Sezioni regionali di controllo, dovendo tale Istituzione superiore di controllo giudicare sulla ottimale “adeguatezza” delle organizzazioni; “adeguatezza” che si misura applicando il parametro della economicità dell’attività amministrativa/tecnica (contabilità analitica ovvero aziendale estensibile alle organizzazioni non profit). Fino a questo momento si è richiamato il Servizio Sanitario Nazionale. L’ “approfondimento” ha, comunque, come destinatari «le singole unità operative» in cui si articola il S.S.N.. È una semplice conferma; ma non sembra che le questioni trattate non possano interessare anche il “centro” del sistema: il Ministero della salute, l’Agenas, i NAS dell’Arma dei Carabinieri. C’è, comunque, una grande consapevolezza e una presa d’atto della situazione quale essa dovrebbe essere: la realizzazione delle previste misure non può che risultare subordinata a un necessario «forte investimento, soprattutto sui RPCT (Responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza) e, a cascata, su tutti coloro che intervengono in processi di costruzione ed attuazione delle azioni dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione». In sostanza, i vuoti da colmare sono rinvenibili nelle azioni (o inazioni) delle persone, di quel fattore della “produzione” che è il lavoro umano e, quindi, nelle prassi che sono state sinora poste in essere e che – pur avendo rallentato l’emergere della produttività del sistema - sono state tollerate. Sono tutti fenomeni gestionali – sottolinea l’ANAC – che impediscono «la realizzazione piena delle finalità istituzionali di un’azienda sanitaria». È nella insoddisfacente realizzazione di tali finalità che dovrebbe essere colta la maggiore o minore disattenzione del management sanitario verso la corretta funzionalità del sistema dei controlli interni; a tale disfunzionalità, che è generalizzata, non si fa cenno. O, quel che è peggio, non si ha il coraggio istituzionale di denunciare quella ampia collusione che si rinviene tra managers e dipendenti, tesi entrambi a leggere le performances come sempre pienamente realizzate (quando esse, invece, non lo sono state o non lo potevano essere). Il che significa che ancora una volta si è richiesto ai diversi “corpi” burocratici di raccogliere dati e informazioni che l’intelligenza umana ha inteso decodificare, però, nel verso sbagliato. Assistiamo, cioè, al fenomeno tipicamente nazionale del perseguimento della “trasparenza” con dati/informazioni semplicemente affastellati. Un sovradimensionamento dei dati statistici, come delle informazioni, per fini di governo del sistema amministrativo, non è utile neppure alla classe dirigente politica, che si sente autorizzata ad interpretare le diverse realtà con criteri uniformi. Ed è lì che si sbaglia, inducendo in errore l’intero sistema. Gli unici a pagare sono (e rimangono) i cittadini. Se, ragionando sul Servizio Sanitario Nazionale, al quale il d.lgs. n. 502/92 ha inteso applicare la contabilità aziendale privatistica, arriviamo a certe conclusioni, che cosa potremmo dire dello stato di applicazione della contabilità in questione al sistema degli Enti Locali?... (segue)
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