Mai si sarebbe pensato, allora, di riuscire a pubblicare in quella collana, stante l’assenza di un apparato normativo organico, un commentario di diritto amministrativo e men che meno un codice amministrativo, che manca tuttora. Tuttavia, nel frattempo tante cose sono cambiate; oggi abbiamo la legge fondamentale sul procedimento amministrativo, tanti testi unici ed anche un codice sul processo amministrativo e questo forse è sufficiente a giustificare l’ambizioso titolo. L’accostamento al codice civile ed alla teoria di Pietro Rescigno suggerisce alcune considerazioni sul rapporto tra il diritto amministrativo e il diritto civile e, in particolare, sulla possibilità di cedere alla suggestione di configurare le amministrazioni pubbliche come società intermedie. L’ipotesi è audace, ai limiti della provocazione, ma spesso l’uso delle iperboli fa capire meglio lo stato delle cose. L’impossibilità di ricondurre ad unità le due grandi branche del diritto si fonda su molti argomenti; tra i tanti, qui se ne isolano due fondamentali al punto da essere considerati dei veri e propri assiomi. Il primo ‘assioma’ è che le società intermedie (famiglia, partiti politici, sindacati, fondazioni, associazioni, o.n.l.u.s., società commerciali, confessioni religiose e così via) hanno trovato la loro giustificazione proprio per offrire all’individuo una forma di protezione nei confronti dello stato nazionale, di cui la pubblica amministrazione era lo strumento più efficace per limitare o eliminare l’autonomia negoziale dei privati. Non a caso Pietro Rescigno ammoniva: << E’ compito del giurista, oggi, collaborare a restituire il senso della fede nelle comunità perdute. Nella famiglia, nel partito, nel sindacato, nella chiesa, l’uomo del nostro tempo e di sempre tenta di liberarsi dalle ragioni opposte d’angoscia in cui si muove la condizione umana. Sospesa tra la paura dello stato e il deserto della solitudine>>. La ‘paura dello stato’ si spiegava allora, a tacere delle ragioni legate al sistema giuridico, dal fatto che si era da poco usciti dalla guerra, voluta da regimi spietati e autoritari che avevano soppresso tutte le libertà fondamentali dei cittadini, i quali, proprio attraverso i partiti politici e i sindacati, volevano costruire la democrazia perduta e partecipare all’edificazione di uno stato pluralista, così come disegnato dalla Costituzione negli articoli 2, 5, 39 e 49. Da allora i modelli organizzativi delle pubbliche amministrazioni sono completamente cambiati: al modello cavouriano dell’amministrazione per ministeri, caratterizzato dalla concentrazione di poche funzioni pubbliche esercitate in forma gerarchica, si è passati via via ad un’amministrazione per enti ed infine, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e l’istituzione delle Regioni, si è arrivati addirittura al coinvolgimento di espressioni della società civile nello svolgimento di attività di interesse pubblico in attuazione del modello della sussidiarietà orizzontale previsto nell’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Inizialmente il punto di contatto tra le società intermedie e la pubblica amministrazione si esauriva nel riconoscimento della personalità giuridica delle fondazioni e delle associazioni, nell’iscrizione nel registro delle imprese per le società commerciali oppure nella scelta di rimanere enti di fatto, come nel caso dei sindacati disciplinati dall’articolo 39 della Costituzione, non a caso mai attuato. In seguito l’ordinamento si è evoluto passando da un sistema di riconoscimento della personalità giuridica di tipo concessorio ad uno di tipo normativo; la tendenza è iniziata con l’abrogazione degli articoli 17, 600 e 782 c.c., nonché con il venir meno del parere obbligatorio del Consiglio di Stato in materia di riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi della legge n. 127/1997. In breve, le società intermedie e la pubblica amministrazione erano, per definizione, antagoniste nel funzionamento del sistema. Il secondo ‘assioma’ è costituito proprio dalla presenza di un codice del diritto civile, che invece manca nel diritto amministrativo, il che significa che il codice civile era visto come l’unico diritto “eguale dei cittadini”, mentre le leggi amministrative erano dettate per le amministrazioni, che dovevano attuarle secondo il modulo della diseguaglianza, ossia secondo lo schema potestà- interesse legittimo... (segue)
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