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NUMERO 22 - 22/11/2017

 Il divieto di istituire associazioni segrete

Intorno al tema delle associazioni segrete ruotano complesse questioni che, da sempre, si fa difficoltà ad affrontare, toccando il tema un nervo scoperto dell’ordinamento costituzionale. Il divieto si pone al crocevia di diritti e interessi essenziali per il funzionamento del sistema democratico liberale: far conciliare i limiti della libertà di associazione, ma anche - per molti versi - della libertà di manifestazione del pensiero con la necessità per lo Stato di garantire la trasparenza nella partecipazione alla vita pubblica. I quesiti posti dal divieto di istituire associazioni segrete sono stati affrontati parzialmente dal legislatore, in modo frammentario e, forse, inadeguato anche rispetto alle indicazioni costituzionali. La legge n. 17 del 1982, sull’onda delle vicende legate alla loggia massonica deviata P2, dà risposte circoscritte e lascia scoperte questioni che, ciclicamente, tornano di attualità politica. L’inadeguatezza della disciplina non potrebbe peraltro essere meglio esemplificata dal fatto che la legge del 1982 è rimasta inapplicata. Al contempo nella disciplina legislativa - in particolare in materia di pubblico impiego  -  emerge un chiaro disvalore per le associazioni “occulte”, ovvero, per quelle associazioni che non sono segrete nei termini indicati dalla legge n. 17 del 1982, ma che tengono comunque riservate le informazioni in merito alla propria organizzazione, composizione e sede. La necessità di riforma della disciplina  vigente è altresì dimostrata dalla presentazione, solo nell’attuale XVII Legislatura, di due progetti di legge che, come si vedrà, mirano ad integrare la normativa esistente, rafforzando in particolare gli obblighi nei confronti dei funzionari pubblici. Le incertezze mostrate dal legislatore nel dare attuazione al divieto costituzionale riflettono le difficoltà di interpretazione dell’art. 18 Cost., la cui formulazione non è completamente chiara e continua a sollevare diversi dubbi. Nonostante l’attenzione della dottrina, resta controverso - come emerge anche nei progetti di legge della XVII Legislatura - se siano vietate le associazioni segrete tout court, oppure, se la lettura unitaria dei due divieti di cui al secondo comma dell’art. 18 Cost. imponga il divieto di istituire le sole associazioni segrete che perseguono fini politici. Come si avrà modo di osservare, la seconda opzione interpretativa sembra quella che riesce meglio a soddisfare il principio della massima libertà associativa, evitando al contempo che il divieto di istituire associazioni segrete colpisca attività irrilevanti per l’ordinamento. In un sistema di democrazia pluralista -  “non protetta” - al cuore del divieto di istituire associazioni segrete e paramilitari si pone infatti l’interesse a garantire ogni forma di contestazione politica, purché non violenta e, appunto, palese. Nello Stato di partiti, delineato dalla Costituzione, il sistema democratico si fonda sulla pubblicità sia del dibattito politico, sia della formazione della volontà politica. Proprio lo stretto nesso tra divieto costituzionale di segretezza e sfera pubblica induce a domandarsi quali limitazioni alla libertà di associazione possano essere imposte nei confronti di chi «al servizio esclusivo della Nazione» (art. 98, 1 comma, Cost.) è chiamato ad esercitare le proprie funzioni «con disciplina ed onore» (art. 54, comma 2, Cost.). Lo status di dipendente pubblico non può giustificare limitazioni di carattere generale della libertà associativa, ma consente invece l’imposizione di obblighi di trasparenza, anche penetranti.  La controllabilità dell’azione pubblica giustifica l’imposizione di specifici vincoli nei confronti di chi concorre - in modo più o meno diretto - alla formazione della volontà pubblica, così da circoscrivere il rischio di sovrapposizioni e commistioni di interessi che opacizzano il processo decisionale pubblico... (segue)



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