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NUMERO 23 - 06/12/2017

 Diritto internazionale, diritto delle Nazioni Unite e analogia federale

Una questione che continua ad attirare l’attenzione degli studiosi riguarda i rapporti tra diritto della comunità internazionale e diritto delle Nazioni Unite, e, in particolare, la questione della distinzione o identità tra questi due sistemi giuridici. In altri termini ha ancora senso parlare, a settantadue anni dalla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), di un diritto della comunità internazionale come cerchio più ampio al cui interno è ricompreso, come ordinamento particolare, il diritto delle Nazioni Unite? E ancora, può il sistema dell’ONU essere qualificato come organizzazione giuridica della comunità internazionale, la quale avrebbe così superato la sua fase anorganica e tendenzialmente anarchica? Se la risposta fosse affermativa, la Carta delle Nazioni Unite, sarebbe finalmente qualificabile come “costituzione” internazionale, avvalorando la tesi dell’analogia federale. Con l’espressione “costituzionalizzazione” del diritto internazionale si intende descrivere un fenomeno per cui la comunità internazionale avrebbe acquisito un certo numero di caratteristiche che distinguerebbero l’attuale ordine giuridico internazionale dal classico diritto internazionale westphaliano, in particolare il suo passaggio dal bilateralismo agli interessi comuni e solidali, dal sistema dei rapporti puramente interstatali a un ordine giuridico globale diretto a garantire i diritti fondamentali della persona umana. È evidente che un ordine del genere non potrebbe che essere costruito attorno alla Carta delle Nazioni Unite. Il dibattito sull’istituzionalizzazione del diritto internazionale non è certo nuovo, anzi ha origini lontane nel tempo e ha conosciuto fasi alterne. Ripercorrendo tali fasi nel secondo dopoguerra, possiamo identificarne tre principali. La prima è quella dell’immediato dopoguerra quando le Nazioni Unite hanno iniziato a funzionare; la seconda è quella che ha coinciso con la fine del bipolarismo e della Guerra fredda; la terza, infine, è quella attuale, nel cui ambito le prospettive “globaliste” e “federaliste” sono state ridimensionate di fronte a rinnovato dinamismo del modello tradizionale, che non sembra dare segni di cedimento dal punto di vista strutturale e del contenuto delle norme. Quando la Carta delle Nazioni Unite è stata adottata alla Conferenza di San Francisco nel 1945 ed è poi entrata in vigore, nessuno dubitava, a cominciare dai founding fathers, della sua natura di trattato internazionale vincolante sulla base del diritto internazionale comune, e del suo radicamento nella norma consuetudinariapacta sunt servanda, come tutti gli altri trattati. Non si voleva ripetere l’errore di valutazione fatto nel primo dopoguerra con il Patto della Società delle Nazioni, quando v’era stato chi aveva visto nel nuovo ente internazionale una sorta di super-stato, nonostante l’assenza di un chiaro divieto del ricorso alla guerra per la soluzione delle controversie internazionali. Il preambolo della Carta utilizza del resto una formula che sottolinea la decisione dei “popoli delle Nazioni Unite” di creare le condizioni in cui “la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale” possano essere mantenuti. Insomma, una dichiarazione di piena appartenenza al sistema del diritto internazionale comune. Ma già nelle prime valutazioni della dottrina circa la portata della Carta dell’ONU si scorgeva un elemento comune: l’identificazione di uno o più aspetti innovativi, per alcuni anzi fortemente innovativi, che sembravano caratterizzare questo strumento nel panorama delle fonti del diritto internazionale. Mi limiterò a prendere in considerazione alcuni dei nomi più significativi tra i primi commentatori della Carta, vale a dire Alfred Verdross, Joseph Kunz, Hans Kelsen e Tomaso Perassi. Tra i quattro, nettamente più conservatori e meno inclini a prospettare vistose novità, si collocano Verdross e Kunz. Entrambi richiamavano la natura di diritto particolare nell’ambito del diritto internazionale generale propria della Carta, in un momento in cui la comunità internazionale contava 60 Stati membri dell’ONU e 27 estranei ad essa. Per il giurista viennese: “the Charter of the UN must be regarded as particular international law within the framework of general international law”. Verdross non mancava tuttavia di rilevare la novità dell’art. 103 della Carta, che stabilisce il primato degli obblighi derivanti dalla Carta su quelli di ogni altro trattato internazionale: “The Charter thus assumes the character of a basic law for the whole international community”. Per Kunz era fondamentale mantenere la distinzione tra diritto generale e diritto particolare, escludendo ogni tentazione di ritenere che la Carta avesse sostituito l’ordinamento della comunità internazionale: “In any case, the law of the United Nations has to be carefully distinguished from general international law. The latter continues to exist independently of the Charter”. Tuttavia, l’a. confermava che: “General international law is, up to now, a primitive law lacking special organs. Particular international law […] constitutes, therefore, a way to develop primitive international law into a more advanced ‘organized’ international legal order”... (segue)



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