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Più passano i giorni e ci si avvicina alla data (4 marzo) delle elezioni per dar vita alla diciottesima legislatura repubblicana, più l’interesse del mondo politico-istituzionale si sposta in direzione delle quistioni inerenti la formazione del Governo cui il neo Parlamento dovrà accordare la fiducia mediante mozione motivata votata singolarmente da Camera e Senato. Il fenomeno è determinato, com’è noto, dal fatto che le maggiori forze politiche in campo si articolano in almeno quattro polarità ed il sistema elettorale adottato con il famoso rosatellum, approvato a seguito delle sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato la illegittimità del porcellum e dell’italicum, non garantisce alcuna maggioranza parlamentare in quanto privo di spropositati premi di maggioranza e ripartisce i seggi in modo proporzionale, tranne per la quota assegnata tramite collegi uninominali. Ne deriva la quasi certezza che nessun partito o aggregazione di partiti riuscirà ad arrivare alla soglia dei 315/320 voti camerali e dei 158/160 voti senatoriali e quindi che la maggioranza che serve a sostenere il Governo dovrà essere ‘costruita’ dopo il voto ed, in un certo senso, anche a prescindere dal voto stesso perché ciò che conterà è la sua esistenza in seno alle Camere e non, invece, la sua corrispondenza alla volontà espressa dai cittadini-elettori. Naturalmente, se ciò dovesse verificarsi nessun vulnus si determinerebbe al principio della sovranità popolare che, come detta la Costituzione all’art. 1, dovrà essere esercitata “nelle forme e nei limiti” della medesima e quest’ultima, all’art. 67, stabilisce poi che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ma non sono questa e né meno le altre ad essa connesse le quistioni che qui si vogliono brevemente discutere. Piuttosto si vuole fare qualche considerazione in ordine al processo di individuazione e formazione di questa maggioranza che in sede parlamentare dovrà sostenere il Governo. Intanto va ricordato che nell’attuale ordinamento il Governo, a differenza del Parlamento e dello stesso Presidente della Repubblica -che, seppure in modo diverso, sono organi elettivi- è un organo nominato. Il che significa che, poiché questa circostanza deriva dal fatto che la forma di governo parlamentare è l’evoluzione di quella costituzionale pura nella quale il Governo era espressione del Re e solo nei suoi confronti era responsabile, il ruolo del Presidente della Repubblica in questo procedimento di formazione non è meramente formale e di garanzia ma si connota dei caratteri del soggetto protagonista ancorchè, com’è evidente, sempre all’interno della logica costituzionale che assegna l’ultima parola al Parlamento. Insomma, è vero che nel nostro Paese i Governi non possono considerarsi “del Presidente” ma è bene tenere presente che per dettato costituzionale questi ha comunque il diritto di nominare il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri... (segue)
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