
Le società a partecipazione pubblica, soggetti di diritto privato caratterizzate da finalità pubbliche, sono state oggetto di attenzione di dottrina e giurisprudenza che si sono interrogate, nel tempo, sul possibile assoggettamento delle stesse alle procedure concorsuali. Come è noto, infatti, nonostante la disciplina civilistica di riferimento escluda espressamente tale ipotesi, deve tuttavia ricordarsi come la stessa normativa non sembri tener conto dell’attuale configurazione dell’assetto gestionale e della natura giuridica di queste società, sempre più lontana dal precedente paradigma formale dell’ente pubblico. Per questo motivo, parte della dottrina, al fine di legittimare l’applicazione delle disposizioni fallimentari anche alle società a partecipazione pubblica, ha evidenziato, ai fini di una loro riqualificazione, la natura privatistica della società e la loro iscrizione nel registro delle imprese. Sul punto si ricorda l’intervento della Corte di Cassazione secondo cui “ le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili al fallimento indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività di impresa”. Di contrario avviso è altro orientamento che, facendo riferimento alla teoria c.d. criterio funzionale, ha confermato l’esclusione delle società a partecipazione pubblica dall’assoggettamento alle procedure concorsuali. Proprio il riferimento alla finalità pubblica renderebbe incompatibile l’applicazione della normativa in materia di cessazione dell’attività e di dichiarazione di fallimento, che, nonostante sia indirizzata verso una tutela dei creditori, potrebbe pregiudicare il superiore interesse pubblico, considerato prevalente su quello dei creditori, riscontrabile anche nella continuità dell’azione amministrativa... (segue)
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