Il diritto dell’immigrazione, che ha tuttora nel d. lgs. n. 286 del 1998 (c.d. legge Napolitano-Turco o T.U.I. e le successive modifiche, tra le quali, per rilievo sistematico, spicca quella della l. n. 189 del 2002, c.d. legge Bossi-Fini) il proprio testo normativo di riferimento, ha conosciuto e continua a conoscere, anche di recente, un processo di continua rivisitazione legislativa anzitutto sotto la spinta di situazioni eccezionali e, in particolare, per l’imponente fenomeno dei flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medioriente, che ha interessato le sponde del Mediterraneo. Tra gli studiosi che si sono occupati del tema è ormai opinione condivisa che il diritto dell’immigrazione, spesso inciso da una legislazione di carattere emergenziale, presenti un connotato peculiare rispetto ai principî generali del diritto amministrativo e che lo statuto dello straniero appaia derogatorio rispetto all’ordinario quadro di regole e valori che disciplinano il rapporto tra il pubblico potere e i cittadini. Si dirà che la specialità di questo statuto non può in concreto sottrarsi al rispetto dei diritti fondamentali che, sul piano del diritto internazionale, del diritto eurounitario e del diritto costituzionale interno, deve essere riconosciuto comunque e sempre allo straniero, una volta che questi, regolarmente o meno, abbia fatto ingresso sul territorio interno e finanche, come pure si accennerà, nell’ipotesi di respingimento c.d. differito alla frontiera o comunque di trattenimento finalizzato al successivo rimpatrio. Il problema interseca le politiche securitarie che l’ordinamento interno appresta, con le previsioni in materia di immigrazione, per disciplinare i flussi migratori e per eliminare situazioni di potenziale pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico, nella sua accezione tradizionale e materiale di ordre dans la rue. Occorre anzitutto distinguere tra la posizione dello straniero che, volontariamente, sceglie di lasciare il proprio Paese per fare ingresso e soggiorno in Italia da quello che, invece, è costretto da gravi contingenze del proprio Paese a lasciarlo e a rifugiarsi in Italia, differenziando quindi, secondo una summa divisio ormai ben nota agli studiosi della materia, la posizione del c.d. migrante volontario (o economico) da quella del c.d. migrante involontario. Tale distinzione, che non ha un carattere meramente descrittivo, incide infatti sulla stessa posizione giuridica dello straniero e sulla tutela giurisdizionale a lui assicurata nel nostro ordinamento, in quanto è precipuamente al migrante volontario che, nelle sue linee essenziali, si applica la disciplina del T.U.I. relativa all’ingresso e al soggiorno in Italia, mentre al migrante involontario si applica la disciplina dettata dal d. lgs. n. 251 del 2007, relativamente ai rifugiati e alle persone altrimenti bisognose di protezione internazionale, dal d. lgs. n. 25 del 2008, quanto alle procedure relative al riconoscimento e alla revoca dello status di rifugiato, e dal d. lgs. n. 142 del 2015, quanto alle misure di accoglienza destinate ai richiedenti asilo. I recenti interventi normativi – e, in particolare, quelli di cui al d.l. n. 13 del 2017, il c.d. decreto Minniti-Orlando, convertito con modificazioni nella l. n. 46 del 13 aprile 2017 – hanno ridisegnato in parte il sistema della tutela giurisdizionale garantita allo straniero con la finalità di riportare ordine ed organicità ad una legislazione fattasi ormai, nel tempo, confusa e insoddisfacente ed hanno previsto l’istituzione delle sezioni specializzate dei Tribunali ordinari in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Ma la riforma ha toccato solo in parte il complesso sistema della tutela giurisdizionale per i migranti. È noto che il nostro ordinamento, per quanto attiene alla tutela dello straniero in materia di ingresso e soggiorno sul territorio italiano, di diritto di asilo e di cittadinanza, prevede un sistema dualistico, imperniato, cioè, sulla devoluzione di talune controversie al giudice ordinario, quale giudice dei diritti soggettivi, e di altre al giudice amministrativo, quale giudice degli interessi legittimi. Il riparto di giurisdizione anche in questa materia, tuttavia, è ben lungi dal potersi definire chiaro e lineare. Si può partire, per comodità espositiva, dalla situazione del c.d. migrante volontario (o economico), che intenda ottenere l’ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale per la scelta, personale e volontaria, di trasferirsi in Italia per determinate ragioni (di lavoro, di studio, etc.), ragioni alle quali corrisponde la previsione, secondo un tendenziale principio di tassatività in materia, di altrettanti specifici visti di ingresso e corrispondenti permessi di soggiorno tipizzati dal legislatore nel T.U.I. Per quanto attiene alle materie affidate alla cognizione del giudice amministrativo, va anzitutto considerato l’art. 6, comma 10, T.U.I. devolve alla sua giurisdizione tutte le controversie inerenti al rilascio dei visti e dei permessi di soggiorno sul territorio nazionale, ad eccezione di quelle di cui si dirà, attinenti alla materia dei permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, la cui cognizione è ora devoluta alla cognizione delle sezioni specializzate dall’art. 3, comma 1, lett. e), del d.l. n. 13 del 2017... (segue)
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