
Il 6 dicembre la Costituzione spagnola compie quarant’anni. Qual è lo stato di salute effettivo di questa democrazia iberica? Il volume di Anna Bosco per Il Mulino, “Le quattro crisi della Spagna” che si muove in chiave politologica ma con grande attenzione anche al dato giuridico costituzionale, ne fa un bilancio ricco di chiaroscuri, anzi, forse più di scuri che di chiari. La tesi di fondo, enunciata chiaramente sin dall’inizio, è che la Spagna ha comunque subito negli ultimi anni una triplice crisi (economica, politica e territoriale): le tre, cumulandosi, ne hanno anche prodotta una quarta, istituzionale, “inedita e complessa” (p. 9) da cui il Paese non sembra ancora uscito. Secondo Bosco i pilastri costituzionali del quarantennio sono stati i seguenti, anche per reazione all’impotente Seconda Repubblica che era sfociata nella guerra civile: un sistema elettorali dagli effetti maggioritari, il ruolo moderatore della Corona nella Transizione e oltre, il predominio del Presidente del Governo sull’esecutivo (a cominciare dal potere discrezionale di scioglimento), dell’esecutivo sul legislativo (col Governo quale chiaro comitato direttivo della maggioranza) e la natura gruppocentrica della Camera politica (coincidenza gruppi/liste, liste peraltro bloccate) (p. 21). Qualche importane scricchiolio si era già prodotto nel 2000, col Governo Aznar di maggioranza assoluta, che aveva segnato un deciso spostamento in senso anti-consensuale rispetto al tradizionale fair play col Psoe e centralistico in opposizione ai regionalismi periferici (p. 27). Si potrebbe anche aggiungere in senso clericale in asse col primate Rouco, riattivando la classica frattura della Guerra Civile che aveva pesato di meno dalla Transizione, a cui poi reagì in direzione opposta Zapatero. Bosco ricostruisce poi puntualmente i nodi irrisolti dello Stato delle autonomie sin dalla Costituzione (p. 28 e 132), affidato quindi più alle variabili politiche contingenti che a una chiara impostazione costituzionale: positive per le periferie nei periodi dei Governi di minoranza obbligati a raccogliere il consenso dei regionalisti, negative coi Governi autosufficienti di maggioranza assoluta (pp. 32-33) e con un costante gioco al rialzo delle autonomie tradizionali rincorse a loro volta, una volta ottenuti vantaggi, dalle altre nei periodi successivi per livellare le differenze (p. 34). Con Aznar e Zapatero la politica territoriale perde qualsiasi elemento di consenso tra i partiti maggiori e così lo Statuto catalano sin dall’inizio è terreno di scontro: col Psoe che sostanzialmente lo avalla e il Pp che ricorre contro di esso al Tribunale Costituzionale (p. 79). In quel periodo anche la lotta antiterrorista diventa peraltro fattore di scontro e non più di consenso (Ivi)… (segue)
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