
Dei molteplici profili che attengono all’istituto del referendum e alla sua disciplina costituzionale – dalla genesi in Assemblea costituente alla sua riconduzione agli istituti di democrazia diretta; dalle diverse fasi del procedimento, ai limiti, alla posizione nel sistema delle fonti – quello relativo al finanziamento del voto referendario non ha fin qui destato un adeguato interesse da parte della dottrina, malgrado l’attenzione ad esso riservata dal legislatore, i cui più recenti interventi mettono peraltro l’interprete davanti a nodi problematici di non poco momento, che si proveranno ad esaminare in questa sede. A tal fine, non sembra possibile prescindere da un rapido – e quindi necessariamente sommario – riepilogo delle principali tappe che, nell’arco di un quarantennio, hanno segnato l’evoluzione della disciplina del finanziamento ai partiti, con il progressivo passaggio da un finanziamento pubblico e diretto, ad una contribuzione privata su base volontaria. È all’interno di questo più ampio contesto, infatti, che il tema del finanziamento del voto referendario va propriamente collocato. Il sistema del finanziamento pubblico diretto veniva introdotto, come noto, dalla legge 2 maggio 1974, n. 195, e poggiava su una duplice forma di contribuzione ai partiti: un contributo di carattere straordinario, erogato a titolo di concorso delle spese da essi sostenute in occasione delle elezioni politiche; un contributo annuale, veicolato tramite i gruppi parlamentari e destinato al finanziamento ordinario delle attività di partito. Questo modello era oggetto di un duplice tentativo di abrogazione popolare. La prima volta, nel 1978, veniva sottoposta a referendum l’intera legge, che tuttavia superava indenne il vaglio degli elettori poiché la consultazione referendaria, pur avendo raggiunto il necessario quorum di validità, registrava una percentuale di contrari all’abrogazione superiore a quella dei favorevoli. La seconda volta, invece, nel 1993, l’iniziativa referendaria aveva riguardato solo gli articoli 3 e 9 della legge n. 195 del 1974 e si era conclusa con l’abrogazione di tali norme, le quali – giova ricordarlo – disciplinavano il contributo ordinario ai gruppi parlamentari per l’attività dei rispettivi partiti e le sue modalità di erogazione. Pertanto, l’unica forma di finanziamento pubblico che restava in vigore era quella relativa al rimborso delle spese elettorali… (segue)
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