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NUMERO 2 - 23/01/2019

 Il municipalismo comunitario di Luigi Sturzo ed il suo contributo all'ANCI

Nella storia dell’Italia unita, già all’indomani del radicarsi del nuovo Stato, le istanze autonomistiche locali ritornano a manifestarsi insistentemente. Cominciano, nei primi decenni post Unità, i gruppi liberal-moderati non coinvolti nel governo del Paese, che mettono in discussione la subordinazione delle istituzioni locali alle esigenze della politica statale sia sul piano finanziario che del pareggio di bilancio. Essi contestano la ricerca del consolidamento del consenso da parte delle forze al potere con l’esercizio di una sorta di “dittatura legale” nei confronti di una società lontana ed ancora estranea. Continuando, in questo modo, a proporre il modello dell’esperienza inglese del selfgovernment adottato dai moderati guidati da Cavour e Minghetti. Contemporaneamente, si sviluppa però una battaglia assai più determinata da parte dell’opposizione cattolica e di quella repubblicana. Oltre che ad opera delle forze radicali e socialiste. Tutti soggetti e movimenti critici nei confronti della legittimazione e del funzionamento del nuovo Stato, a causa del vizio d’origine della sua nascita e della sua costruzione: “dall’alto”. Ma ognuna portatrice di istanze autonomistiche diverse. I cattolici sostenitori di una “società organica”, secondo il modello dell’antico regime, e poi tutti protesi a difesa di posizioni confessionali. I movimenti radical-democratici, seguendo l’aspirazione ad una società individualistica e borghese,  impegnati a  riaffermare il primato della “libertà” sulla “unità”. I socialisti, guidati dalla suggestione della “Comune parigina” e del socialismo proudhoniano, fautori di una autonomia rivoluzionaria “dal basso”. Da parte loro, i liberali, poi, favorevoli all’autonomia come  strumento per realizzare finalmente a livello istituzionale un liberalismo economico capace di limitare lo Stato ai compiti di ordine pubblico e di difesa nazionale. Con l’ultimo decennio dell’Ottocento, però, queste teorie con i loro modelli di riferimento autonomistici entrano in vario modo in crisi ed i  relativi movimenti sono costretti a rivederne i termini della loro riproposizione. A partire dai moderati che -dopo aver subito l’ostracismo da parte di una policy che considerava le istanze per l’autogoverno delle comunità locali un rimasuglio del passato, una manifestazione dell’incapacità di forze tradizionaliste ad accettare la società moderna- con le riforme di Crispi e Di Rudinì riescono a determinare la riduzione del potere centrale con l’elettività del sindaco e del presidente della giunta provinciale. Anche se devono subire l’irrigidimento dei controlli di legittimità e di merito e, sul piano fiscale, l’incremento dei dazi sui consumi. E venendo subito dopo ai cattolici ed ai socialisti con le loro visioni della società in senso “organicista” e “classista” che -a seguito degli sviluppi della modernizzazione capitalistica ed industriale- sono costretti ad accettare un crescente interventismo dello Stato in campo economico e sociale e quindi un sempre più difficoltoso utilizzo delle autonomie locali per ricostruire dal basso il potere politico e statale. “Di qui lo sfaldarsi delle istanze autonomistiche, legate all’intransigentismo antiunitario di parte cattolica, come pure di quelle fondate sull’anarchismo: con una crescente perdita di terreno per le tendenze a fare dell’autonomia locale una specie di ‘contro potere’ al potere dello stato” (scrive, nella sua ricerca per conto dell’Anci, ROBERTO RUFFILLI, Alle origini dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, 1986). Inizia così -in tutti i movimenti di opposizione: cattolico, radical-democratico e socialista- una nuova fase rivolta ad adeguare i loro precedenti progetti autonomistici all’evoluzione della realtà. Facendo i conti anche con gli sviluppi europei del “municipalismo sociale”, del riformismo sociale e del “socialismo municipale”, che avrebbero influenzato, tra l’altro: i programmi dei giovani democristiani raccolti attorno a Murri ed a Sturzo; la necessità di dare risposta alle spinte verso un governo sempre più illiberale in campo moderato; il “programma minimo” presentato dal partito socialista nel 1895. Ma, soprattutto, avrebbero fornito la spinta vitale a ricercare forme associative fra i Comuni per aumentarne la resistenza ai condizionamenti del potere centrale e svilupparne le capacità autonome di provvedere ai bisogni primari dei propri cittadini. È in questo contesto che nasce, dunque, la forza di reazione di tutti i maggiori soggetti politici di opposizione (ivi compresa la massoneria) che cercano la strada per affrancare i Comuni dalla subalternità alla volontà dei prefetti e delle appena costituite giunte provinciali amministrative (GPA). Ed, in definitiva, per farne affermare la autonoma personalità istituzionale… (segue)



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