Il fenomeno della povertà ha assunto negli anni della crisi una dimensione quantitativa sempre più rilevante, interessando fasce di popolazione progressivamente più ampie, connotandosi in modo molto diverso nelle differenti regioni italiane e assumendo una complessità fenomenologica tale da richiedere interventi multidimensionali. La natura multidimensionale della povertà emerge dalle molteplici proiezioni che la stessa presenta e che colpiscono l’individuo con riguardo all’assenza di beni essenziali o necessari, alla mancanza o precarietà del lavoro, alla mancanza di capacità della persona, alle carenze dell’habitat in cui vive e, in definitiva, all’assenza complessiva di opportunità e alla mancanza degli strumenti essenziali che consentono una piena partecipazione alla organizzazione politica, sociale ed economica del Paese.
Il tema della lotta alla povertà è stato per lungo tempo estraneo alla riflessione del legislatore. Dopo il fallimento del reddito minimo di inserimento e del reddito di ultima istanza, misure di carattere sperimentale e lontane dall’esprimere una progettualità stabile nel tempo, e la fioritura delle legislazioni regionali in materia di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, il governo del fenomeno della povertà è stato recuperato dal legislatore nazionale ed ha trovato disciplina nel d.lgs. 147/2017, istitutivo del reddito di inclusione (Rei). Si tratta di uno strumento di integrazione del reddito che in larga misura attinge al bagaglio di esperienze e conoscenze tecnico-giuridiche proveniente dalle pregresse esperienze regionali e condensa nel proprio impianto i tratti unificanti e gli elementi di convergenza rinvenibili nelle soluzioni normative sperimentate dai legislatori regionali. Il Rei è destinato ad essere sostituito, a partire da aprile 2019, dal Reddito di cittadinanza (Rdc), introdotto dal d.l. n. 4/2019, adottato il 16 gennaio e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 gennaio. Invero, nonostante il nomen impiegato, la misura di contrasto alla povertà di recente introduzione risponde alle forme e ai contenuti paradigmatici del reddito minimo, non del reddito di cittadinanza, le cui differenze saranno poste in luce nel paragrafo seguente.
L’obiettivo dell’indagine è quindi inquadrare le forme di integrazione del reddito adottate a livello nazionale, ovvero il Rei e il Rdc, all’interno della cornice dei principi fondamentali della nostra Costituzione al fine di valutarne la compatibilità con in nucleo assiologico fondamentale del nostro ordinamento costituzionale. I principi fondamentali che sembrano più direttamente coinvolti dall’introduzione di forme di reddito minimo sono il principio personalista e il principio solidarista che, letti congiuntamente, proiettano nell’ordinamento costituzionale un’idea di cittadinanza e di appartenenza alla polis con la quale gli schemi di reddito minimo devono confrontarsi. Vengono inoltre in rilievo il principio di eguaglianza, nel suo profilo formale e sostanziale, e il principio lavorista, principalmente nella sua declinazione di doverosità... (segue)
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