
L’analisi costi-benefici che siamo chiamati a svolgere oggi, in questa sede, sulla proposta di legge costituzionale recante «Disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e referendum» dovrebbe costituire, in verità, un passaggio necessario, preliminare a ogni intervento volto a introdurre una disciplina di rango costituzionale o a modificare il testo della legge fondamentale. Uno dei maggiori limiti delle grandi riforme costituzionali finora approvate dalle Camere, sia di quelle che hanno poi visto la luce sia di quelle bocciate nelle consultazioni referendarie, sembra essere consistito proprio nella mancanza di una preliminare, adeguata riflessione sull’impatto ordinamentale degli interventi progettati. Il che è dipeso anche, e soprattutto, dal carattere “congiunturale” delle stesse riforme, che sembrerebbero essere state ispirate per lo più dall’esigenza di far fronte ad emergenze politiche del tutto contingenti. La proposta oggi in discussione presenta due pregi: il primo è quello di non seguire il metodo della “grande riforma”, proponendo una revisione circoscritta, potenzialmente in grado di costituire oggetto di un quesito referendario chiaro, qualora ovviamente ricorressero le condizioni per l’indizione della consultazione prevista dall’art. 138 Cost. (e, quindi, la legge di revisione non fosse approvata nella seconda deliberazione a maggioranza dei due terzi) e il referendum fosse richiesto dai soggetti legittimati a farlo; il secondo pregio è quello per cui tale proposta non risulta figlia di una visione congiunturale dell’attività di normazione, bensì dettata da un progetto di sviluppo delle istituzioni democratiche di più ampio respiro, anche se, per le ragioni che dirò a conclusione del mio intervento, foriero di rischi non trascurabili per le sorti della stessa democrazia rappresentativa. Benché la revisione prospettata abbia un carattere puntuale, non sembra potersi fare a meno di considerare i possibili effetti sistemici dell’introduzione del nuovo istituto anche in relazione ad altre, distinte revisioni che contemporaneamente si stanno promuovendo, in particolare quella che comporterebbe la riduzione del numero dei parlamentari. Nel complesso, a determinare un esito negativo dell’analisi costi-benefici non è tanto lo squilibrio che la riforma in esame comporterebbe sul piano dei rapporti tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa (squilibrio che, semmai, potrebbe derivare dall’insieme degli interventi prospettati nel c.d. «contratto di governo», compresi quelli incidenti sul divieto di mandato imperativo), bensì, da un lato, le conseguenze che potrebbe avere per la legittimazione della Corte costituzionale l’attribuzione a tale organo del giudizio preventivo di ammissibilità del referendum propositivo e, dall’altro lato, l’impatto che il nuovo istituto avrebbe sugli altri strumenti di democrazia partecipativa, a cominciare dal referendum abrogativo… (segue)
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