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NUMERO 10 - 22/05/2019

 I rischi di sbilanciamento e di contrapposizione tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa

In merito al progetto di legge costituzionale, AS 1089, recante Disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum, occorre premettere che da più parti si sottolinea la bontà del metodo seguito, in quanto non più volto ad operare riforme organiche dell’intera Parte II della Costituzione o di importanti Titoli di quella, ma volto a modificare di volta in volta singoli istituti. Invero, se non v’è dubbio che in linea di principio questo metodo sia preferibile, poiché consente di focalizzare l’attenzione sul singolo istituto di volta in volta preso ad esame e non fa correre il rischio di fare opera di sostanziale delegittimazione dell’intero Testo costituzionale, sottoposto allo “stress” di una riforma organica, che rischia di radicalmente “cambiarne i connotati”, occorre fare particolare attenzione nel caso di specie. Per quanto, infatti, si incida in quest’evenienza su soli due articoli della Costituzione (art. 71 e 75), oltre ad incidere sull’art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, la riforma in questione non è affatto di scarsa portata e soprattutto non è di limitata incidenza sul complessivo sistema istituzionale. Occorre invero avere una visione organica dell’impatto che questa produce, anche alla luce delle diverse e collegate riforme costituzionali in discussione o che verranno discusse. Non ci si limita, infatti, in questo caso ad arricchire il catalogo degli istituti di democrazia diretta (con la previsione del c.d. referendum propositivo), o a rendere più incisivi istituti di democrazia diretta già esistenti (con la previsione della c.d. iniziativa legislativa rinforzata), si incide invero su uno snodo di centrale rilevanza nel delicato rapporto tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa, trattato con estrema cautela e con estremo senso della misura dal Costituente, che, come è noto, assicurò la prevalenza della seconda, riconoscendo tuttavia un significativo rilievo anche alla prima, ma sempre coerentemente inserita in un contesto sistemico rappresentativo. La riforma qui in discussione determina invece un rapporto di concorso-contrapposizione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, e di definitiva prevalenza dell’una sull’altra, non già di equilibrato contemperamento-completamento dell’una con l’altra. Il che è tanto più grave, poiché si condivide qui l’osservazione di chi rileva che “il fondamento rappresentativo appare un tratto caratterizzante essenziale del nostro assetto costituzionale, in quanto tale sottratto alla disponibilità del legislatore di revisione”. Vero è che formalmente non si opera qui alcuna riforma dell’impianto rappresentativo, ma vero è anche che un ricorso sistematico agli istituti di cui qui si parla determinerebbe una sostanziale atrofizzazione del ruolo della rappresentanza parlamentare, costretta a recepire in maniera “automatica” e a trasformare in legge gli stimoli provenienti dal corpo elettorale, o costretta ad assistere alla trasformazione in legge direttamente ad opera del corpo elettorale di una proposta predisposta e sottoscritta da un ristretto numero di elettori. Gli istituti di democrazia diretta che si intendono qui introdurre non fungono da stimolo per il legislatore, ma tendono a sostanzialmente sovrastarlo o sostituirlo, con il rischio che si determini la prevalenza della democrazia diretta su quella rappresentativa, non tanto su talune questioni di significativo rilievo per la comunità, che incidono su tematiche eticamente sensibili, come fu per i referendum su divorzio, interruzione volontaria della gravidanza, fecondazione medicalmente assistita, ecc…, quanto sulla concreta attività legislativa di quotidiana spettanza del Parlamento… (segue)



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