Parlamento europeo frammentato, aumento della partecipazione elettorale, soprattutto nei paesi dell’Est Europa, crescita significativa dei partiti/movimenti ambientalisti e ruolo pivotale dei liberali. Questi temi sono emersi come cruciali dopo il voto europeo 2019. Argomenti importanti su cui riflettere, e da cui apprendere. Tuttavia, ancora una volta, in Italia si è parlato soprattutto di Italia. Sarebbe stata invece l’occasione per informarsi, discutere, proporre e approfondire temi europei, la nostra vera patria, il vero orizzonte culturale e politico. Le elezioni europee del 26 maggio 2019 non rimarranno negli annali per il risultato della Lega (Nord) del min. sen. Matteo Salvini, quanto per l’insipienza della proposta alternativa. Una vittoria per defezione, una competizione con un solo partecipanti e una serie di gregari, per scelta o per destino. La campagna elettorale è stata debole, silenziosa a tratti e persino noiosa. Senza slancio, senza sfide, senza proposte alte, o altere, ma solo con qualche idea superficiale di policy, ma nulla di politics. Il presunto cleavage tra mentori del nazionalismo e i cantori della società aperta è stato in realtà segnato da strali identitari rivolti alla propria base. Nulla, escluse alcune meritorie eccezioni (esempio Emma Bonino), è stato detto o proposto per indicare la strada di un’Europa federale. Il timore, specialmente a sinistra, era che gli elettori si annoiassero a sentir parlare di istituzioni, di grandi progetti. Ma, si sa, la scarsa ambizione e la pavidità generano poco o punto. Ciò nonostante circa la metà degli aventi diritto si è recato alle urne. I dati indicano chiaramente una battuta di arresto rispetto al declino della partecipazione in atto dal 1994 e accentuatosi con l’allargamento dell’Unione “a 27”, dovuta in particolare ai risultati davvero poco edificanti per i paesi dell’ex blocco sovietico… (segue)
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