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Con l’ordinanza n. 207 del 2018, resa a proposito del c.d. caso Cappato, la Corte costituzionale ha evidenziato alcuni profili d’illegittimità dell’art. 580 c.p., nella parte in cui, sancendo il divieto assoluto di aiuto al suicidio, finisce per ledere la libertà di autodeterminazione di quei malati che siano comunque capaci di formare ed esprimere in modo consapevole la propria volontà sul fine-vita. Il giudice costituzionale, però, data l’impraticabilità di una pronuncia d’annullamento “secco”, e alla luce del complesso quadro di interessi da bilanciare, ha rinviato la trattazione della causa ad una nuova udienza di merito, invitando nelle more il Parlamento ad intervenire. La pronuncia si segnala, fuor di dubbio, per l’alta sensibilità del tema toccato, quello del suicidio assistito, che chiama in gioco questioni politiche ed etiche particolarmente avvertite, fra le quali, fino ad oggi, il legislatore non è riuscito ad operare una sintesi. Non meno interessante, dal punto di vista processuale, è la tecnica decisoria inedita impiegata per salvaguardare la discrezionalità delle Camere, sollecitandone al contempo un intervento per quanto possibile “a data certa”, finalizzato a risolvere le tensioni rilevate in punto di legittimità costituzionale. A sostegno delle proprie conclusioni, la Corte richiama – evento tutt’altro che frequente nella sua giurisprudenza – due sentenze straniere: Nicklinson v. Ministry of Justice (2014) della Corte Suprema del Regno Unito e Carter v. Canada (2015), resa dalla Corte Suprema canadese. Ad un’analisi più approfondita, però, le suggestioni della comparazione all’interno dell’ordinanza si rivelano più profonde di quanto non appaia a colpo d’occhio, proiettandosi su due piani: quello della comparazione esplicita, realizzata tramite l’espressa citazione dei precedenti con i quali il giudice costituzionale si confronta in modo aperto; e quello che potrebbe dirsi della comparazione implicita, scorgendosi in modo piuttosto agevole, dietro la peculiare tecnica decisoria adottata, l’influenza del modello tedesco della Unvereinbarkeitserklärung e in parte anche dell’esperienza spagnola. Se, poi, si mette a sistema l’ordinanza Cappato con alcune fra le più importanti, e discusse, pronunce degli ultimi anni, l’uso della comparazione nella giurisprudenza costituzionale recente si colora di una valenza particolare. Come si cercherà di dimostrare, esiste un nesso piuttosto stretto fra il ricorso all’argomento comparatistico e le esigenze di legittimazione dei poteri dell’organo, specie ove questo si muova ai confini della propria giurisdizione. L’impiego più frequente della comparazione, in questa prospettiva, sembra corrispondere a un fabbisogno di legittimazione connesso a un duplice “sforzo” messo in atto dalla Corte: da un lato, adeguare la propria strumentazione alle nuove esigenze di governo della giustizia costituzionale, tipiche degli ordinamenti di democrazia pluralista; dall’altro lato, auto-riposizionarsi progressivamente all’interno del multilevel constitutionalism, e più in particolare nel circuito di tutela multilivello dei diritti. Nelle pagine che seguono, si muoverà dall’analisi dei precedenti e delle esperienze straniere assunte a riferimento, in modo esplicito e implicito, dalla Corte nell’ordinanza n. 207, per poi tentare una riflessione di carattere più generale sull’uso della comparazione nella giurisprudenza recente… (segue)
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