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Come noto il Veneto, assieme alla Lombardia e all'Emilia-Romagna, è stata una delle prime Regioni ad avviare l'iter di attuazione dell'art. 116, comma 3, Cost. Le trattative, ancora in corso, sono ferme alle tre intese sulla parte generale datate 25 febbraio 2019 sottoscritte dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti delle tre Regioni. Pur nella consapevolezza che l'iter è sinora proceduto in modo parallelo per le tre Regioni e che è presumibilmente destinato a concludersi con esiti identici riguardo a ciascuna di esse, il presente scritto si prefigge l'obiettivo di verificare se il modus procedendi seguito dalla Regione Veneto presenti elementi di specificità. L'avvio dell'iter di attuazione dell'art. 116, comma 3, Cost. costituisce in realtà la seconda tappa di una percorso “autonomistico” ben più ampio già intrapreso in precedenza dalla Regione Veneto. Si allude alle leggi regionali del 2014 istitutive di due referendum mediante i quali si chiamava il corpo elettorale regionale a pronunciarsi in merito alla trasformazione o meno del Veneto, rispettivamente, in una Repubblica indipendente e sovrana (legge n. 16) o in una Regione a statuto speciale (legge n. 15). Come noto, la Corte costituzionale è intervenuta con una declaratoria di illegittimità costituzionale che ha colpito la legge n. 16 nella sua totalità e la l. n. 15 in alcune sue parti. Nell'un caso la Corte, con toni inusualmente accesi, aveva qualificato il referendum “indipendentista” come una consultazione diretta a suggerire «sovvertimenti costituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica» e «prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano» e come un'iniziativa extra ordinem perché, contraddicendo l'unità della Repubblica, «non potrebbe mai tradursi in un legittimo esercizio del potere da parte delle istituzioni regionali». Il quesito referendario, insomma, nel suo dettato letterale, ad avviso della Corte rendeva manifesto l'intento “secessionista” che lo muoveva. La via è chiusa, sembra voler affermare il giudice costituzionale, l'opzione “secessionista” non è neppure astrattamente nella disponibilità della Regione. Nell'altro caso, invece, con argomentazioni di carattere puramente formale, la Corte ha avuto buon gioco nell'affermare che il quesito relativo alla trasformazione del Veneto in una Regione a statuto speciale attiene a «scelte fondamentali di livello costituzionale che non possono formare oggetto di referendum regionale», precisando altresì che la consultazione risulterebbe comunque preclusa anche ai sensi degli artt. 26, comma 4, lettera b), e 27, comma 3, dello statuto regionale, laddove si afferma che i referendum regionali debbono essere di tenore tale da rispettare gli obblighi costituzionali. In questo caso, quindi -sembrerebbe trasparire dalle parole della Corte-, la strada non è preclusa in assoluto, ma potrebbe essere intrapresa soltanto mediante le forme costituzionalmente prescritte, vale a dire con il ricorso all'art. 138 della Carta. Le vicende cui si è appena accennato risultano strettamente connesse a quella relativa all'avvio dell'iter del regionalismo “differenziato” rappresentandone una sorte di antefatto, idoneo a determinare una serie di implicazioni e ricadute, quantomeno sul piano politico-istituzionale, in ordine al suo svolgimento… (segue)
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