
Una nota diffusa negli scritti più recenti in tema privacy sottolinea l’attenzione crescente che il diritto europeo riserva alla circolazione dei dati personali e alle molteplici esigenze di ordine pubblico e privato connesse alla libera fruizione delle informazioni. Tra tali esigenze annovera anche quella di assicurare il «buon funzionamento del mercato interno», sempre più inciso dall’evoluzione tecnologica e dalla pretesa degli operatori economici di disporre liberamente delle informazioni connesse agli scambi commerciali, anche a dispetto dei «[...] motivi attinenti alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali». L’indicata attenzione parrebbe trovare riscontro in più punti del Reg. UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, che sin dall’art. 1 accosta le «norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali» a quelle «relative alla libera circolazione di tali dati»; nonché richiama genericamente l’esigenza di proteggere «i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche», omettendo qualunque puntuale riferimento al «rispetto della dignità umana» enunciato, invece, dal codice della privacy (art. 1). E parrebbe trovare immediato riscontro, anche, nell’affermazione di principio secondo cui il diritto alla protezione dei dati personali, lungi dall’integrare «una prerogativa assoluta», va «contemperato» alla luce «della sua funzione sociale» con «altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità»; e ulteriore riscontro, dunque, nell’idea che la tutela dell’identità personale o della riservatezza, potendo condurre al sacrificio di altri «diritti fondamentali» come «la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’informazione, la libertà d’impresa», non possa giustificare di per sé l’introduzione di limiti alla libera circolazione delle informazioni (considerando n. 4, Reg. UE). Nonostante la mostrata consapevolezza che il diritto della privacy esiga scelte politiche precise che contemperino distinti «diritti fondamentali», il Regolamento UE in esame non sempre offre una soluzione univoca all’indicato conflitto tra gli interessi che vengono in rilievo. In particolare, il legislatore europeo affida in talune ipotesi, a dispetto della natura giuridica della fonte prescelta e del connesso obiettivo di uniformare le discipline giuridiche nazionali, il bilanciamento tra le contrapposte esigenze del controllo e della libera circolazione dei dati personali al «diritto dello Stato membro», come per la precisazione dei casi in cui il trattamento non esige il consenso dell’interessato poiché «è necessario per adempiere un obbligo legale» oppure «è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri» art. 6, par. 1, lett. c) ed e). In altre ipotesi, affida il bilanciamento alla valutazione dell’interprete il quale è chiamato a compiere, in assenza di una fattispecie astratta e di puntuali criteri di giudizio fissati da una norma giuridica, una scelta alla stregua delle circostanze concrete. Ora, nelle pagine che seguono l’attenzione sarà dedicata all’esame delle regole dettate dal Regolamento Europeo in ordine a taluni diritti dell’interessato e, segnatamente, al diritto di informazione, di accesso, di limitazione, di opposizione e alla revoca del consenso. Regole, queste, che pongono in rilievo i presupposti e i limiti del controllo riservato ai privati sulle proprie informazioni personali; e, dunque, le scelte compiute in ordine al problema del contemperamento tra protezione e libera circolazione delle informazioni… (segue)
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