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Chiusa, per il momento, la stagione delle “grandi” riforme costituzionali, respinte con i referendum del 2006 e del 2016, in questa legislatura il Parlamento si è concentrato su “singole” proposte di revisione della Costituzione, frutto però di una strategia unitaria che potrebbe incidere in modo significativo sulla rappresentanza politica allo scopo di ridimensionare il ruolo del Parlamento nel nostro sistema politico-costituzionale. Quando si cambia la Costituzione, infatti, ciò che rileva non è quanti articoli si modificano ma il come. Finora, per fortuna, soltanto allo stadio soltanto di proposta è rimasta l’introduzione del vincolo di mandato per contrastare il c.d. transfughismo parlamentare; difatti, seppur formulata per fini in certa misura condivisibili, tale iniziativa se approvata farebbe venir meno uno dei pilastri su cui si fonda la democrazia parlamentare rappresentativa. Altre proposte sono al momento in discussione, come l’introduzione della iniziativa legislativa popolare “rafforzata”, in base alla quale se il Parlamento non accogliesse entro diciotto mesi il testo di una proposta di legge presentata da cinquecentomila elettori, questa sarebbe sottoposta a referendum deliberativo. Se non limitata per materia e circondata da specifiche garanzie, tale riforma potrebbe prefigurare un canale di decisione politica alternativo, anziché complementare, a quello parlamentare, con conseguente emarginazione del ruolo di mediazione politica del Parlamento. Infine, l’unica proposta di revisione costituzionale finora approvata: la riduzione del numero di deputati (da 630 a 400) e senatori elettivi (da 315 a 200) con “il duplice obiettivo di aumentare l’efficienza e la produttività delle Camere e, al contempo, di razionalizzare la spesa pubblica” così da poter allineare il nostro “agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari eletti molto più limitato”. Di quest’ultima proposta inutilmente si cercherebbe nei lavori parlamentari un approfondimento dei suoi effetti sull’organizzazione e sul funzionamento delle camere. Dalla lettura di tali lavori, piuttosto, emerge la convinzione, diffusa soprattutto tra le forze politiche originariamente promotrici di tale riforma, che l’applicazione regolamentare di tale riduzione sarebbe stata, in definitiva, impegno di poco momento, di cui non valeva al momento occuparsi; insomma, per dirla con De Gaulle, e forse ancor prima con Napoleone, l’intendance suivra…. Di tale sottovalutazione costituisce particolare riprova la mancanza di una disposizione transitoria sul passaggio dal vecchio al nuovo regime, simile a quella che invece ci si è preoccupati di approvare per garantire l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari (così il titolo della legge n. 51/2019), come se in relazione ad esso il numero dei parlamentari fosse in ultima analisi una variabile indipendente… (segue)
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