
C’è sempre stato un tema che sembrava largamente condiviso, avendo accompagnato un po’ tutte le diverse proposte di una riforma organica della Costituzione, tentate e mai riuscite nel corso degli ultimi vent’anni anni (era nel testo di legge costituzionale sulla c.d. devolution, respinto dal referendum costituzionale del 2006, come nel testo di legge costituzionale Renzi-Boschi rigettato, sempre dal popolo, nel 2016): l’esigenza avvertita un po’ da ogni parte di giungere a una riduzione più o meno corposa del numero di parlamentari, ritenuto troppo elevato. Ciò, per dirla tutta, anche prima che questo argomento diventasse una sorta di vessillo politico di un partito che ha fatto il suo ingresso in Parlamento soltanto nel 2013, il MoVimento 5 Stelle, innestando il senso stesso della sua proposta politica dentro a una generale diffidenza verso il modello di democrazia rappresentativa che costituzionalmente contraddistingue il nostro Paese. Eppure, ora che vi è l’occasione di raggiungere questo obiettivo, votando a favore del testo di legge costituzionale di revisione approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati nell’ottobre 2019, nel referendum finalmente indetto per il 20 e 21 settembre 2020, dopo lo slittamento della data del 29 marzo 2020 imposto dall’emergenza della tragedia mondiale del Covid-19, le carte si sono completamente sparigliate e l’esito finale di quel voto appare davvero molto incerto, nella discussione pubblica e non soltanto tra gli addetti ai lavori, con un solo elemento che pare difficilmente contestabile: aver portato la decisione su una revisione costituzionale, anche puntuale e circoscritta a una sola questione fondamentale, fuori dal Parlamento, facendo scattare la richiesta di referendum prevista dall’art. 138, comma 2, Costituzione, rimette la scelta finale a un voto popolare che non può che essere, nella sua semplicità binaria, rigidamente contrapposto. Eppure attorno alla Costituzione e alle sue proposte di revisione dovrebbero sempre esservi, invece, un consenso e una condivisione bipartisan, lasciando la Carta fondamentale al di fuori della lotta politica per il potere, sul terreno dell’indirizzo politico di maggioranza e della politica generale del Governo dell’art. 95 Costituzione e delle diverse opzioni programmatiche che offre il ventaglio della determinazione della politica nazionale dell’art. 49 Costituzione. Queste brevi osservazioni, gentilmente richieste dalla Direzione della Rivista, che qui si ringrazia, cercheranno di sciogliere, con una lettura costituzionalmente orientata del testo di riforma, alcune delle preoccupazioni adombrate in numerosi commenti, anche di colleghi costituzionalisti, in merito alla consistente riduzione del numero dei parlamentari che il testo effettivamente prevede, il quale, però, come si cercherà di dimostrare, qualora fosse effettivamente approvato, non sembra in grado di provocare né gravi conseguenze sul funzionamento della forma governo parlamentare, che finirebbe per essere tutta squilibrata a favore del Governo, e neppure un pericolo per la tenuta complessiva dell’ordinamento costituzionale democratico, fondato su un assetto rappresentativo, ora, si sostiene, minato da una logica antiparlamentare che pervaderebbe l’intero testo di riforma… (segue)
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