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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Corte Costituzionale, Sentenza n. 143/2024, Identità non binarie e autorizzazione a effettuare gli interventi chirurgici di affermazione di genere: la parola alla Corte costituzionale

Pes. A. Barbera – Red. S. Petitti – giudizio di l.c. promosso dal Tribunale ordinario di Bolzano, sez. II civile.

 

Genere – Indicazione anagrafica– Genere non binario – Indicazione nei documenti di un sesso “altro”- art. 1, l. n. 164 del 1982 – Non consentita  – Contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione – Lesione all’identità, alla salute e al rispetto della vita privata e familiare della persona –Questione di legittimità costituzionale – Inammissibilità – Mutata sensibilità sociale – Eventuale introduzione di un “sesso altro” -  Valutazione da parte del legislatore - Necessità

 

Intervento medico chirurgico di rideterminazione del genere – Autorizzazione giudiziale - Non irragionevole – Modificazioni dei caratteri sessuali tramite trattamenti ormonali e supporto psicologico comportamentale – Autorizzazione del tribunale -  Necessità ai sensi dell’art. 31, comma 4, d.lgs. 150 del 2011 - Contrasto con gli artt. 2, 3, 32 della Costituzione – Lesione dell’autodeterminazione individuale e del diritto alla salute – Sussiste – Illegittimità costituzionale.

 

Una persona AFAB (assigned female at birth), riconoscendosi in un genere non binario, seppure incline al polo maschile, adiva il giudice il Tribunale di Bolzano ai sensi della l. n. 164 del 1982 e del d.lgs. n. 150 del 2011, per ottenere: a) dei documenti in cui fosse indicato (non il sesso opposto a quello anagrafico assegnatole alla nascita, ma) un sesso “altro”, diverso da quelli tradizionalmente riconosciuti come assegnabili; b) l’autorizzazione a sottoporsi a degli interventi chirurgici di affermazione di genere (recte, a ogni intervento chirurgico in senso gino-androide -innanzitutto, la mastectomia-).

Il Tribunale, assumendo che l’attuale legge sull’identità di genere (in particolare, l’art. 1 della suddetta l. n. 164 del 1982) non consente di accogliere una domanda di rilascio di documenti su cui fare comparire un genere non binario, chiedeva l’intervento della Corte costituzionale, ritenendo del tutto irragionevole una siffatta preclusione, siccome contrastante con gli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), per la lesione inflitta all’identità, alla salute e al rispetto della vita privata e familiare della persona.

Inoltre, chiedeva alla Corte di valutare la compatibilità dell’art. 31, comma 4, d.lgs. n. 150 del 2011, che assoggetta gli interventi chirurgici di affermazione di genere a una previa autorizzazione giudiziale con gli artt. 2, 3, 32 della Costituzione, ritenendo che la stessa comprima ingiustificatamente l’autodeterminazione individuale e il diritto alla salute e che la scelta di chi voglia sottoporsi a un intervento chirurgico di affermazione di genere non possa essere trattata diversamente da quella assunta da chi debba sottoporsi a qualsiasi intervento chirurgico ugualmente demolitivo e per il quale non sia però richiesta alcuna previa autorizzazione giudiziale (si pensi a una vasectomia).

Con la sentenza n. 143 del 2024, la Corte ha dichiarato inammissibile la prima questione sollevata dal Tribunale di Bolzano, siccome eccedente il “(…) perimetro del [suo] sindacato (…)”. Essa, infatti, anche se, sulla scorta delle evidenze medico-scientifiche e delle esperienze maturate sul punto da altri Paesi, ha ammesso espressamente che un individuo, percependo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile, possa avvertire l’esigenza di essere riconosciuto in un’identità “altra”, ha ritenuto che sia il legislatore (da essa definito quale “primo interprete della sensibilità sociale”) il soggetto deputato a valutare l’opportunità di intervenire per evitare che questo mancato riconoscimento giuridico continui a generare una situazione di disagio idonea a condurre a delle disparità di trattamento e a una compromissione del benessere psicofisico di queste persone, ledendone la dignità e la salute.

 

Quanto alla seconda questione, la Corte, rilevato che la prescrizione normativa non può ritenersi in sé manifestamente irragionevole, siccome rientrante nei poteri discrezionali del legislatore, ha osservato che la previsione dell’autorizzazione giudiziale “per i trattamenti medico-chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali”: a) non ha eguali nel panorama comparatistico (che evidenzia “semmai una progressiva focalizzazione sull’autodeterminazione individuale”); b) non è priva di tratti paternalistici, rispetto a persone maggiorenni e capaci di autodeterminarsi; c) è irragionevole nel momento in cui prescrive l’autorizzazione al trattamento chirurgico in tutti quei casi in cui il giudice accerti che la persona trans abbia completato il proprio percorso di transizione e possa dunque disporre il rilascio del nuovi documenti: in questa ipotesi, infatti, un eventuale intervento chirurgico avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione (la quale, come noto, sulla scorte delle pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale del 2015 e del 2017, può essere ormai accordata anche qualora la persona interessata a ottenere dei nuovi documenti non abbia ancora effettuato -e non abbia alcuna intenzione di effettuare- un intervento chirurgico di affermazione di genere). La Corte ha affermato quindi che l’autorizzazione prevista dalla disposizione censurata ha perduto “ogni ragion d’essere al cospetto di un percorso di transizione già sufficientemente avanzato” e ha sottolineato come la giurisprudenza di merito sovente autorizzi nella prassi l’intervento chirurgico contestualmente alla sentenza di rettificazione (e non prima e in funzione della rettificazione stessa).



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