
Corte Cass., III sez. civ., ord. 15 novembre 2024, n. 29549
Pres. A. Scrima – Est. G. Cricenti
Responsabilità medica – Menomazione preesistente – Danno differenziale – Liquidazione del danno – Criteri di calcolo – Cassa con rinvio
La Cassazione, con ordinanza n. 29549 del 2024, nell’ambito della responsabilità medica, ha ribadito e precisato il criterio di calcolo del danno differenziale, in caso di concorso fra menomazione preesistente e menomazione ascrivibile ad errore medico.
Nel caso di specie, un paziente che soffriva di ernia del disco veniva operato presso una casa di cura. A seguito dell’intervento chirurgico, il paziente non solo non è guarito dall’ernia, ma anche ha subito un aggravamento delle sue condizioni motorie rispetto alla situazione antecedente. Agiva dunque in giudizio nei confronti della struttura e del medico che aveva eseguito l’operazione, domandandone la condanna al risarcimento dei danni patiti. Disposta la consulenza tecnica, si accertava che l’invalidità complessiva e finale del ricorrente fosse del 20%, come esito di una invalidità del 12% dovuta a causa naturale, e quindi preesistente all’intervento medico, e di una invalidità del 7-8-% determinata invece dall’errore del sanitario. Il giudice dunque, ritenuta sussistente la responsabilità contrattuale dei convenuti, in solido fra loro, ha liquidato al paziente la somma di 12.404,04 euro, a titolo di danno non patrimoniale, in relazione alla percentuale di invalidità del 7-8%. Avverso la sentenza della Corte d’appello, che in sostanza confermava tale pronuncia, era proposto ricorso per cassazione.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in ipotesi di concorso tra una menomazione non imputabile ad errore medico ed altra a questo riconducibile, il pregiudizio si può quantificare secondo i criteri del c.d. danno differenziale solo nel caso in cui, con giudizio controfattuale ex post, sia accertato che le due tipologie di postumi sono tra loro in rapporto di concorrenza - non di semplice coesistenza - e, cioè, quando i postumi della causa iatrogena sono soltanto aggravati dalla menomazione preesistente alla responsabilità del sanitario oppure quando la presenza della prima tipologia di postumi incide negativamente su quelli derivanti da errore medico aggravando la situazione del soggetto leso, dovendosi altrimenti - se la menomazione risulta soltanto coesistente - liquidare per intero il danno iatrogeno (Cass., 30.7.2024, n. 21261).
Nel caso in esame, è stata riconosciuta la responsabilità del medico, per l’errore nell’esecuzione dell’intervento, ed è stato altresì riconosciuto che il danno provocato da tale condotta ha aggravato le condizioni di salute del paziente. Tuttavia il giudice a quo ha semplicemente sottratto dalla invalidità finale (20%) quella preesistente (12%), ricavando la parte di invalidità attribuibile al medico e liquidando tale invalidità, ex art. 139 del codice delle assicurazioni, come previsto nel caso di invalidità inferiore al 9%.
Secondo la Cassazione, «è principio di diritto che: "La liquidazione del danno biologico cd. differenziale, rilevante qualora l'evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, va effettuata, in base ai criteri della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., sottraendo dalla percentuale complessiva del danno (nella specie, accertata dal CTU nella misura dell'80%), interamente ascritta all'agente sul piano della causalità materiale, la percentuale di danno non imputabile all'errore medico (nella specie, del 35%), poiché, stante la progressione geometrica e non aritmetica del punto tabellare di invalidità, il risultato di tale operazione risulterà inevitabilmente superiore a quello relativo allo stesso valore percentuale (50%) ove calcolato dal punto 0 al punto 50, come accadrebbe in caso di frazionamento della causalità materiale" (Cass. 26851/2023; Cass. 26117/2021)».
Il calcolo del danno differenziale perciò sarebbe dovuto avvenire prima monetizzando le invalidità: si sarebbe dovuto quindi attribuire un valore monetario a quella complessiva finale del 20%, che è pari ad euro 61.9999,00, secondo le tabelle milanesi, e poi attribuire valore monetario alla invalidità preesistente (12%), pari, anch’essa secondo le tabelle milanesi, a 26.208,00 euro; infine fare la differenza tra questi due valori monetari, ottenendo la somma di 35.793 euro.
Pertanto il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata con rinvio.
S.C.