
Pres. Acierno, Est. Russo
Consenso informato – Consenso alla trasfusione - Condizione che il sangue provenga da donatori non vaccinati contro il Covid-19 - Condizione non attuabile – Equivalenza con la mancata espressione del consenso.
Minore – Trasfusione necessaria - Mancato consenso degli esercenti la potestà genitoriale – Motivazione religiosa – Non può prevalere sul diritto alla salute del minore – Decisione del giudice tutelare – Consenso - Miglior interesse del minore.
La fattispecie posta all’esame della Corte riguarda il caso di un bambino, affetto da malformazione cardiaca, per il quale era stato programmato un intervento chirurgico con elevata probabilità di trasfusione di sangue. I genitori avevano prestato il consenso al trattamento sanitario, a condizione che il sangue provenisse da donatori non vaccinati contro il Covid-19. In particolare, la condizione era legata, da un lato, ad un principio religioso, in quanto i ricorrenti, di fede cattolica, erano contrari alla utilizzazione, anche indiretta, di prodotti per i quali fossero utilizzate linee cellulari derivati da feti abortiti (come il vaccino in questione); dall'altro, ad un principio di cautela, posto che la proteina spike contenuta nel vaccino avrebbe potuto, sia pure in casi eccezionali, causare danni al minore. In luogo dei genitori, il Direttore generale dell’azienda ospedaliera aveva prestato il consenso alla trasfusione, in qualità di curatore speciale del minore nominato dal Giudice tutelare ex art. 3, co. 5, l. 219/2017 (c.d. legge DAT). A seguito del rigetto del reclamo contro il provvedimento del Giudice tutelare da parte del Tribunale dei minorenni, i genitori avevano proposto ricorso per Cassazione.
In primo luogo, la Corte rileva che la legge DAT è diretta a tutelare, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona. L'art. 1 della suddetta legge promuove la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico “che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico". In tal modo, si rende evidente che il consenso informato è un atto complesso che si perfeziona non solo per effetto di una dichiarazione di volontà del paziente, ma in esito ad un procedimento partecipativo che vede impegnata anche la competenza del medico e la sua responsabilità professionale.
In tema di trattamenti sanitari della persona minorenne, la legge prevede che il consenso informato al trattamento sanitario del minore sia espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, “tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità". Nel caso in cui il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare.
In ordine al consenso condizionato, la Corte rileva che “esprimere il consenso ad un trattamento sanitario ponendo una condizione non attuabile equivale a non esprimerlo”. Il paziente non può, infatti, esigere trattamenti sanitari contrari alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali, incidendo sulla sfera di autodeterminazione del medico che in questo caso può rifiutare l'intervento. Nel caso di specie, per quanto fosse possibile entrare in possesso di una certa quantità di sangue proveniente da donatori non vaccinati, l'azienda ospedaliera si atteneva a protocolli che impedivano il ricorso a questa soluzione, non solo per ragioni di natura economica, ma anche al fine di adeguarsi alle linee guida e alla Raccomandazione del Consiglio d'Europa sulla donazione periodica ed anonima, nonché per tutelare l’autodeterminazione dei medici.
Quanto ai motivi religiosi, secondo la Corte, i genitori incorrono in errore in quanto sovrappongono totalmente la propria identità religiosa a quella del minore. I giudici rilevano, infatti, che sebbene sia compito e prerogativa dei genitori dare al figlio un’educazione anche sotto il profilo religioso, le scelte religiose future del minore potrebbero essere diverse, pertanto “non è accettabile che i genitori adottino decisioni per il minore in cui la loro fede religiosa sia assolutamente condizionante e prevalga in ogni caso sempre e comunque sugli altri interessi del minore”.
Infine, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice tutelare il quale, nel contrasto tra l'opinione dei genitori e quella dei medici, ha individuato il miglior interesse del minore, in conformità all'art 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e all'art 3 della legge DAT, nella soluzione che, secondo l’opinione scientifica allo stato maggioritaria e i protocolli della struttura sanitaria, garantiva meglio la salute del minore. Per tali motivi, la Corte ha rigettato il ricorso.
G.C.