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 Corte Costituzionale, Sentenza n. 66/2025, Suicidio medicalmente assistito: ancora sul requisito della dipendenza dai trattamenti di sostegno vitale

Corte cost., 20 maggio 2025, n. 66

Pres. Amoroso, Est. Viganò e Antonini – GIP del Tribunale di Milano c. Presidente del Consiglio dei ministri (Avv. dello Stato De Socio e Di Martino) e altri.

Suicidio medicalmente assistito – Requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale – Operatività della scriminante per la fattispecie ex art. 580 c.p. – Paziente che abbia rifiutato il trattamento indicato per il sostegno vitale - Lesione del principio di eguaglianza – Non sussiste – Equiparazione con la situazione del trattamento in atto - Non fondatezza della questione.

 

Suicidio medicalmente assistito – Requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale – Operatività della scriminante per la fattispecie ex art. 580 c.p. – Paziente che abbia rifiutato il trattamento indicato per il sostegno vitale - Lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente – Non sussiste – Equiparazione con la situazione del trattamento in atto - Non fondatezza della questione.

Con la sentenza n. 66 del 2025, la Corte costituzionale torna sul tema del suicidio medicalmente assistito. Nel caso di specie, il Giudice a quo prospetta un primo profilo di censura dell’art. 580 cod. pen. in riferimento al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., argomentando che dall’ambito applicativo della «scriminante procedurale» riconosciuta dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale risulterebbe esclusa «una situazione sostanzialmente identica», cioè quella del soggetto affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psichiche intollerabili, e capace di prendere decisioni libere e consapevoli, ma che non sia tenuto in vita da un trattamento sanitario di sostegno vitale. Al riguardo, la Corte rileva che la lamentata disparità non sussiste, tenuto conto che anche nella seconda situazione il paziente ben può rifiutare il trattamento indicato quale clinicamente necessario per l’espletamento delle sue funzioni vitali, trovandosi così anch’egli nella condizione di avere accesso al suicidio assistito. Laddove, invece, il paziente non si trovi in tale condizione e decida di rifiutare trattamenti (terapeutici o palliativi) che non possono essere considerati «necessar[i] ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente» – in quanto l’omissione o interruzione degli stessi non «determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo» – la diversità di disciplina rispetto ai pazienti che hanno accesso al suicidio assistito deve essere considerata non irragionevole, per le medesime considerazioni già esplicitate nella sentenza (della Corte costituzionale) n. 135 del 2024 (punto 7.1. del Considerato in diritto) in riferimento alla censura di violazione dell’art. 3 Cost. allora formulata. Invero, in assenza di un trattamento di sostegno vitale in atto, o almeno di un’indicazione medica relativa alla necessità di attivare un simile trattamento, il paziente non si trova ancora nella condizione di poter optare per la propria morte sulla base della legge n. 219 del 2017, rifiutando (rispettivamente) la prosecuzione o la stessa attivazione di un tale trattamento. Pertanto, la sua situazione non è assimilabile a quella di un paziente la cui vita dipenda dal trattamento in questione, ciò rendendo costituzionalmente non censurabile, al metro dell’art. 3 Cost., la diversa disciplina prevista per le due ipotesi.

 

Secondo la prospettazione del rimettente, ulteriore profilo di censura sussisterebbe in riferimento alla lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, fondato sugli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., poiché la disciplina vigente in subiecta materia costringerebbe il paziente a sottoporsi al trattamento di sostegno vitale al solo scopo di poterlo poi legittimamente rifiutare e accedere, così, al suicidio assistito, imponendo al paziente un’unica modalità di congedarsi dalla vita. La Corte afferma che tale argomento è in radice viziato da un presupposto erroneo, non essendo necessario – ai fini dell’accesso al suicidio assistito – che il paziente inizi il trattamento di sostegno vitale giudicato necessario dal medico, per poi chiedere di interromperlo. In assenza di una tale indicazione medica, i Giudici richiamano le considerazioni già svolte dalla sentenza n. 135 del 2024 (punto 7.2. del Considerato in diritto) in relazione al significativo margine di discrezionalità che la stessa Corte ha riconosciuto al legislatore nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana, discendente dall’art. 2 Cost., e il principio dell’«autonomia» del paziente «nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo, e che è a sua volta un aspetto del più generale diritto al libero sviluppo della propria persona». Tale margine di discrezionalità rende costituzionalmente non obbligata la scelta – non preclusa, in ipotesi, al legislatore, laddove appresti le necessarie garanzie contro i rischi di abuso e di abbandono del malato – di consentire l’accesso al suicidio assistito anche a pazienti capaci di assumere decisioni libere e responsabili, affetti da patologie irreversibili che cagionino loro sofferenze intollerabili, ma le cui funzioni vitali non dipendano da trattamenti di sostegno vitale.

T.L.

(Tania Linardi)



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