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di Marcello Cecchetti
Riforme costituzionali senza direzione e riformatori senza bussole: la forma di Stato e il sistema delle autonomie territoriali alla deriva
Non è facile prendere sul serio il testo di riforma della Parte II della Costituzione in tema di Camere del Parlamento e di forma di governo approvato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato e attualmente all’esame dell’Assemblea. Tante e del resto ben supportate dall’esperienza ormai trentennale delle “riforme mancate” potrebbero essere le ragioni di un atteggiamento di prudenza, per non dire di vero e proprio scetticismo, sulla capacità delle nostre istituzioni parlamentari e delle forze politiche che le animano di condurre in porto – proprio allo scadere della Legislatura in corso – l’ennesimo tentativo di riformare alcuni snodi essenziali dell’ordinamento della Repubblica. C’è, però, a mio parere, un elemento che caratterizza l’attuale disegno riformatore in termini probabilmente inediti rispetto al passato: si tratta, infatti, di un progetto alla base del quale manca del tutto un’analisi compiuta dei bisogni da soddisfare, l’indicazione di una linea riformatrice coerente e adeguata a rispondere a quei bisogni e, per conseguenza, l’individuazione puntuale degli obiettivi e delle specifiche finalità di “politica costituzionale” che si intendono perseguire. La stessa relazione di accompagnamento allegata al disegno di legge approvato dalla Commissione non va al di là di un generico richiamo a “temi” da sempre sul tappeto e a “strumenti” difficilmente contestabili ad un simile livello di astrattezza: la costruzione di un modello bicamerale differenziato purchessia (!); la semplificazione delle istituzioni rappresentative e la riduzione delle procedure parlamentari; la valorizzazione degli interessi delle Regioni nel processo di formazione della legislazione nazionale; la razionalizzazione della forma di governo mediante il riconoscimento di maggiori poteri al Governo in Parlamento, l’introduzione di elementi per la garanzia delle opposizioni, l’accentuazione del primato del Presidente del Consiglio dei ministri all’interno della compagine di Governo, il rafforzamento della garanzia di stabilità dei governi, con il ricorso a meccanismi di c.d. “sfiducia costruttiva”... (segue)
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