
Questo lavoro di ricerca si propone l’obiettivo di fornire al lettore una visione tendenzialmente completa dello strumento dei Contratti di Fiume (d'ora in avanti, CdF), della sua disciplina legislativa e, in particolare, dell'inquadramento nell'ambito degli strumenti a disposizione dell'amministrazione per lo svolgimento della propria attività. L'importanza della tutela dell'ambiente e, nello specifico, dei corsi d'acqua è notevole e assume un rilievo centrale anche a livello europeo. Si tratta di una materia a carattere trasversale, in cui confluiscono interessi diversi e non sempre adeguatamente disciplinati. A una prima fase basata su un sistema di command e control, segue una fase caratterizzata dall'introduzione di strumenti cd. market - based, che consentono all'amministrazione di ricorrere, con maggiore frequenza, a modelli di natura privatistica. All'interno del nostro ordinamento, in materia ambientale, una vera e propria spinta in tal senso si è avuta con il D. Lgs. 152/2006 (cd. codice dell'ambiente), il quale ha riorganizzato l'intero settore della tutela dell'ambiente. Centrale appare il rilievo assunto, in proposito, dall'art. 206 D. Lgs. 152/2006, il quale ha provveduto a introdurre procedure semplificate, tese alla conclusione di accordi e contratti e alla diffusione degli stessi. In particolare, tale disposizione normativa consente al Ministro preposto e alle altre autorità competenti di stipulare "appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria", soprattutto in materia di gestione dei rifiuti, di raccolta differenziata e di produzione di beni con materiali poco inquinanti. Tali accordi possono prevedere delle semplificazioni amministrative, ma non possono porsi in contrasto con la normativa europea o stabilirne deroghe. Pertanto, in conformità a quanto previsto nella Comunicazione n. 412 del 17 luglio 2002 della Commissione dell'Unione Europea, si rinvengono, in materia di accordi ambientali, due distinti modelli di matrice sovranazionale: l'autoregolamentazione e la coregolamentazione, le quali hanno il fine di promuovere il ricorso a strumenti di natura privatistica o di fornire proposte concrete ai singoli legislatori nazionali. L'obiettivo è quello di ottenere un livello di protezione ambientale elevato grazie al raggiungimento di risultati mirati e all'introduzione di nuove formule idonee a dare attuazione e, al tempo stesso, a integrare tali modelli. E' proprio in tale contesto che si inserisce lo strumento del CdF, che costituisce il frutto di un lavoro di studio e di ricerca che si svolge ormai da molti anni e che ha dato vita, nei diversi Paesi, a soluzioni applicative considerevolmente differenti. All’interno di questo ampio quadro, la trattazione presenta una struttura composta da tre parti, ciascuna delle quali prende in esame uno dei molteplici ed interessanti aspetti della figura in analisi. La prima parte del lavoro si sofferma sul vaglio della prassi sviluppatasi anteriormente all'intervento del legislatore nel 2015 e dell'esame dell'iter di formazione dei CdF, in un contesto privo di riferimenti legislativi unitari e che lascia ampio margine di discrezionalità alle singole amministrazioni regionali e agli enti locali. La seconda parte conduce un'analisi del dato normativo attualmente in vigore. L'inserimento dell'art. 68 bis nel D. Lgs. 152/2006 ha prodotto, infatti, considerevoli effetti in materia di CdF, grazie all'esplicito riferimento alla programmazione negoziata, ma lasciando aperti alcuni dubbi interpretativi. La terza parte si propone di risolvere le questioni sollevate e non affrontate dall'art. 68 bis sopra richiamato, attraverso uno studio dell'evoluzione delle modalità di azione della P.A. e degli interventi legislativi in materia (da ultimo, il D. Lgs. 50/2016), che consentono di individuare lo strumento maggiormente idoneo a permettere una stabile e ordinata, oltreché unitaria, applicazione dei CdF... (segue)
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