
La promulgazione – dieci anni or sono – della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, ha aperto la fase delle più incisive riforme a livello costituzionale che abbiano interessato il regionalismo italiano negli ormai oltre 60 anni della sua storia. Al termine di un processo che aveva alle sue origini il progetto Labriola, la Commissione De Mita-Jotti, il Comitato Speroni e che, nella XIII legislatura, aveva trovato dei punti di cristallizzazione dapprima nel progetto della Commissione bicamerale D’Alema del 1997-98 e poi nel disegno di legge presentato da Giuliano Amato in qualità di ministro delle Riforme istituzionali del I governo D’Alema, la riscrittura delle regole costituzionali sul regionalismo si frammentò in due distinte leggi costituzionali: la prima, finalizzata a estendere alla Regione i sistemi di elezione diretta degli esecutivi già introdotti negli enti locali minori e, più immediatamente, a contrastare i c.d. “ribaltini” verificatisi in Molise, Campania, Calabria e Sicilia, adottata con il consenso di maggioranza ed opposizione; la seconda condotta in porto unilateralmente, con un solo in voto in più del quorum costituzionalmente previsto, dalla maggioranza di centrosinistra negli ultimi giorni della XIII legislatura. Nel loro insieme le due riforme hanno ridisegnato – sia pure a diversi livelli di incisività – tutte le disposizioni del titolo V, utilizzando tecniche spesso riconducibili, in vario modo, alle esperienze federali europee ed hanno posto le premesse per l’apertura di una fase nuova, non necessariamente di rottura radicale, ma quantomeno di significativo riequilibrio del regionalismo italiano. La ridefinizione delle regole costituzionali relative ai rapporti fra...(segue)
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