
Ora che la Cassazione si è pronunciata per la procedibilità del referendum sulla legge n. 86 del 2024 (la c.d. legge Calderoli), la palla passa nuovamente alla Corte costituzionale, questa volta per il giudizio di ammissibilità, dopo che la stessa Corte con l’importante sentenza 192/2024 aveva già demolito l’impianto essenziale della legge, almeno su due snodi di non poco conto: la procedura di definizione dei LEP e il ruolo del Parlamento nell’attuazione del 116 comma 3 Cost. Come noto, la Cassazione, che per la prima volta si è trovata a giudicare la legittimità di un quesito a valle di una sentenza della Corte costituzionale (e non di un intervento del Parlamento) non ha ritenuto che l’esisto della sentenza n. 192 fosse sufficiente a sospendere il processo referendario poiché, anche se fortemente incisa e non più attuabile (secondo la stessa Cassazione) la legge rimane comunque in piedi, con la conseguenza di legittimare la prosecuzione della procedura referendaria. Procedura che ora potrebbe fermarsi solo nell’ipotesi in cui la Corte costituzionale dichiarasse l’inammissibilità del referendum. Su tale passaggio la dottrina si è divisa tra quanti sostengono l’inammissibilità e quanti, invece, ne propugnano l’ammissibilità. Il giudizio, in effetti, potrebbe rivelarsi più impegnativo del previsto, a causa della giurisprudenza pretoria che la Corte stessa ha abbondantemente sviluppato sul referendum abrogativo a partire dalla storica sentenza 16 del 1978 e che ha reso il parametro dell’art. 75 Cost. poco più che un simulacro e, conseguentemente, ha reso i giudizi della Corte sui referendum assai imprevedibili… (segue)
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