
Come un po’ tutti sappiamo, la storia del regionalismo italiano – che, se vogliamo far risalire alla Costituzione del 1948, ha ormai ben 65 anni – è in gran parte quella del “contenzioso” fra Stato e Regioni, almeno sotto il profilo del c.d. diritto vivente, ossia della realtà viva delle istituzioni. In questo senso, potrebbe dirsi che il diritto regionale contemporaneo è, nel bene e nel male, per molti versi un diritto giurisprudenziale. Ciò vale, s’intende, su entrambi i fronti dello scontro: legislativo (giudizio in via principale) e non legislativo (conflitto fra enti). Centinaia e centinaia di sentenze – talora importanti, ma più spesso di minuzioso e patetico dettaglio (si pensi al tema della competenza a disciplinare le guide alpine, chiuso salomonicamente dalla Corte secondo “altitudine”: la competenza statale o regionale veniva regolata al di sopra o a la di sotto di una certa altezza) – hanno praticamente “scritto” il diritto costituzionale regionale italiano. Alla fine, la storia delle controversie fra Stato e Regioni è quella di un rapporto tormentato, mai realmente sereno e raramente, quale avrebbe dovuto essere, ispirato a “leale collaborazione” come la Corte costituzionale prima in innumerevoli decisioni – e ora la stessa Costituzione, dopo la riforma del Tit. V del 2001 (art. 120, II c.) – richiedono espressamente. Non consola sapere che questa storia di relazioni conflittuali è, in fondo, comune a tutti gli ordinamenti caratterizzati da un forte decentramento: v’è un’analoga, ricca giurisprudenza per esempio in Austria... (segue)