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di Giovanni Maria Flick
La questione femminile a 150 anni e oltre dall’Unità d’Italia: quali sfide da affrontare; quale eredità da trasmettere
Un anno fa mi chiedevo se abbia ancora senso celebrare l’unità nazionale di fronte a due tendenze – contrapposte fra loro ed apparentemente o effettivamente in contrasto con l’idea dell’unità – sempre più ricorrenti: la prospettiva europea e più ancora quella globale, in cui l’identità nazionale si sperde nel multiculturalismo e nella multietnicità; all’opposto, la prospettiva locale della chiusura, della secessione e del separatismo. Osservavo che quelle perplessità si superano, se si guarda al percorso unitario nel suo complesso. Una vicenda che prese l’avvio dai moti risorgimentali, dalle guerre di indipendenza e da Roma capitale, per concludere con la guerra del ’15-’18 il primo Risorgimento; che proseguì con il fascismo, la seconda guerra mondiale, la sconfitta e una nuova divisione tra il Regno al sud e la Repubblica Sociale al nord; che ritrovò l’unità nel secondo Risorgimento – più concentrato del primo – attraverso la Resistenza, la scelta repubblicana, la Costituzione. Quest’ultima è – non solo cronologicamente – centrale in quel percorso perché esprime, nei suoi valori fondanti, il passaggio dal primo al secondo Risorgimento. Nel primo, la nazione si è fatta stato attraverso la condivisione di valori in qualche modo elitari: la tradizione, la storia, la lingua, la cultura, l’arte, il territorio («una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor» come si esprime Alessandro Manzoni, nel 1821); anche se la partecipazione popolare al percorso unitario (dalla spedizione dei Mille alle Cinque giornate di Milano, alla grande guerra) è una realtà incontestabile. Ma nel Dna del primo Risorgimento ci stanno già sia l’aspirazione alla giustizia sociale e alla legalità, sia il principio personalista, come testimonia la Costituzione della Repubblica Romana del 1849, che delinea ante litteram il nucleo di quella attuale. Nel secondo Risorgimento, la nazione ha recuperato lo Stato – dopo le degenerazioni dell’esperienza totalitaria e nazionalista e gli eccessi del liberalismo – attraverso l’affermazione e la condivisione dei valori fondanti della convivenza: il lavoro, la dignità, l’eguaglianza, la solidarietà, il personalismo, il pluralismo, la laicità, il pacifismo, l’unità e l’autonomia. Sono valori frutto di una scelta e di un compromesso alto (non già di un baratto) fra le grandi correnti ideologiche che furono alla base dei partiti di massa e di élite, protagonisti dalla Resistenza: i cattolici, i socialcomunisti, i liberali (penso alle tre firme di De Nicola, di Terracini e di De Gasperi, in calce alla Costituzione)... (segue)
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