FOCUS - Territorio e istituzioni N. 7 - 07/03/2025

 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 14 gennaio 2025 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Sanità – Livelli essenziali di assistenza (LEA)

PDC VS REGIONE PUGLIA

Ricorso per legittimità costituzionale 14 gennaio 2025, n. 2,

in (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.5 del 29-1-2025)

 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato ricorso avverso la legge della Regione Puglia n. 28 del 2024, per esorbitanza “dalle competenze regionali in quanto dispone, all’art. 26, l’entrata in vigore dei livelli essenziali di assistenza e del relativo nomenclatore; il predetto articolo è censurabile per contrasto con l’art. 81 e con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica poiché, introducendo un ulteriore livello di assistenza sanitaria rispetto ai livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria (LEA), e ponendolo a carico del Servizio sanitario regionale, si [porrebbe] in violazione della disciplina relativa ai piani di rientro dal disavanzo finanziario in materia sanitaria, al quale la Regione Puglia è sottoposta, e del conseguente divieto di spese non obbligatorie. La previsione di altre spese, in una condizione di risorse contingentate, si [porrebbe] altresì in contrasto con il principio di congruità della copertura della spesa necessaria di cui all’art. 81, terzo comma, della Costituzione, posto che in detta condizione la regione non deve destinare a prestazioni non incluse nei livelli essenziali di assistenza risorse del Servizio sanitario regionale distogliendole dalle finalità cui sono vincolate” (G.U. del 29.1.2025. 1° Serie speciale - n. 5). Due sono i profili sollevati, dunque: ai sensi degli artt. 81, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. Si procede qui ad un breve commento.

a)       Art. 81

Da quanto riportato, emergono dal ricorso due concezioni dell’obbligo di copertura: una Regione in piano di rientro dal disavanzo finanziario in materia sanitaria non può varare spese aggiuntive non obbligatorie e deve evitare una copertura incongrua, “posto che un impiego di risorse per prestazioni ‘non essenziali’ verrebbe a ridurre corrispondentemente le risorse per quelle essenziali”. Correttamente, il ricorso si appoggia sulla giurisprudenza costituzionale pregressa, determinatasi a partire dalla “novella” del 2012, il che ne rappresenta però il limite (a prescindere dal fatto che il nuovo onere è anch’esso obbligatorio). Si tratta, infatti, di un indirizzo giurisprudenziale che appare viziato da un errore di fondo. L’obbligo di copertura pone in effetti solo un vincolo quantitativo di parità tra onere e compensazione: il concetto-chiave è la natura quantitativa del vincolo, il che vale ad escludere ogni profilo qualitativo ovvero contenutistico, in disparte l’ipotesi della dequalificazione della spesa (copertura di spesa corrente riducendo investimenti). Non rileva dunque in che cosa consista il nuovo onere, né la “congruità” o meno della copertura, concetto, infatti, che andrebbe chiarito, rimanendo esso avvolto in una nuvola ambigua.

Ciò non significa che per la norma de qua non sussista un fumus di illegittimità, ma comporta solo che una corretta ratio dell’impugnazione sarebbe dovuta essere diversa: consistendo l’onere, in questo caso, in una spesa obbligatoria, dal momento che la legge introduce “un ulteriore livello di assistenza sanitaria rispetto ai livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria (LEA)” e lo pone “a carico del Servizio sanitario regionale”, il risultato è una nuova o maggiore spesa obbligatoria compensata da un fondo (quello sanitario) parimenti di natura obbligatoria. Il che rende la norma contraria all’obbligo di copertura, non provvedendo essa né a ridurre altre autorizzazioni di spesa né ad incrementare entrate in corrispondenza, secondo l’usuale regime delle coperture di cui alla legge statale di contabilità (196/2009).

Il ricorso presenta un vizio di motivazione anche perché non richiama l’art. 97, primo comma, Cost., norma, cioè, a presidio della tenuta dei saldi di finanza pubblica, di cui è automatico un peggioramento se si approva un nuovo o maggiore onere obbligatorio coprendolo con il richiamo ad un fondo anch’esso obbligatorio: ciò tanto più alla luce del mutato quadro di cui alla governance europea, calibrato sulla variazione della spesa. Ma il mancato richiamo dell’art. 97, primo comma, Cost., introduce al secondo profilo del ricorso (art. 117, comma terzo, Cost.), qui di seguito oggetto di commento.

b)       Art. 117, terzo comma, Cost.  

Anche sul versante dell’asserita violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, la ritenuta illegittimità costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Puglia n. 28 del 2024, in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione e delle norme interposte di cui all'art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e all'art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, presenta profili di evidente criticità.

Secondo, la prospettazione del Presidente del Consiglio, che fa espresso richiamo ai precedenti della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 190/2022 e n. 161/2022, la norma di legge regionale, “configurandosi come extra LEA”[1], confliggerebbe con il richiamato parametro (coordinamento della finanza pubblica) trattandosi di Regione (la Puglia) in piano di rientro, condizione di sofferenza finanziaria dell’Ente, che, di per sé, inibirebbe l’erogazione di spese non obbligatorie.

Invero, la laconicità della formulazione della censura non permette di comprendere l’itinerario logico-argomentativo del ricorrente, secondo cui sussisterebbe un divieto ex lege alla previsione dell’erogazione di una prestazione extra LEA e la situazione di disavanzo finanziario in cui versa l’Ente, laddove un divieto di tal genere non risulta previsto nella richiamata norma interposta statale (art. 2, comma 80, l. n. 191/2009). Invero, la piana lettura del citato comma 80 prevede, piuttosto, quale condizione “inibente”, l’effettuazione di “spese non obbligatorie”[2] deliberate con legge che l’Ente regionale non abbia rispettato o che esso non stia rispettando il Piano di rientro da disavanzo in cui versi, ovvero del programma operativo di prosecuzione dello stesso[3], verificato dai competenti Tavoli tecnici di cui agli articoli 9 e 12 dell'Intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; sicché, in difetto di tale essenziale presupposto normativo quale condizione per il blocco della spesa non obbligatoria, il ricorso incorre in un evidente salto logico. Oltretutto, va considerato che un ulteriore livello di LEA si verrebbe a configurare come spesa obbligatoria, in ipotesi non inibita, salva la legittimità della copertura.

Ma, a questo riguardo, è proprio l’impostazione del ricorso che soffre di un’inversione logica delle questioni sottese alla formulata censura di violazione dalla disposizione interposta statale asseritamente espressiva di principio fondamentale di coordinamento finanziario.

Infatti, tale censura, a ben vedere, si sarebbe potuta sì prospettare ma solo in “terza battuta”, dato che il primo parametro da evocare sarebbe stato senz’altro – anche in questo caso - l’art. 97, primo comma, Cost., unitamente all’art. 3, comma 1, della legge rinforzata n. 243 del 2012, laddove, quest’ultima, disposizione stabilisce che “[l]e amministrazioni pubbliche [e tra esse le Regioni] concorrono ad assicurare l'equilibrio dei bilanci ai sensi dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione”; talché, l’introduzione di un nuovo onere, qual è la “prestazione extra LEA”, prevista dalla legge regionale, non può essere addossata sic et simpliciter alla finanza dello Stato, nella specie, facendo rinvio alle risorse assegnate alla Regione Puglia in sede di riparto del Fondo sanitario nazionale, senza incorrere nella violazione del “principio di responsabilità finanziaria” (così, Corte cost., sent. n. 195/2024, punto 6 del diritto), che astringe tutti gli “enti della finanza pubblica allargata” a tutela degli equilibri di tutte le pubbliche amministrazioni (art. 97, primo comma, Cost.).

Deve aggiungersi che ulteriore questione, da ritenere anch’essa prioritaria rispetto a quella indicata nel ricorso, riguardante la censura di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., sub specie di violazione di norma statale di coordinamento finanziario, avrebbe potuto essere individuata, all’evidenza, nella contestazione della carenza, in radice, di potestà legislativa regionale a disciplinare materia, che, come è chiaramente desumibile dall’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., è riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Paradossalmente, dunque, la censura della disposizione regionale in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., sollevata con il ricorso governativo, si rivela non solo logicamente “secondaria” rispetto alle due indicate (ex art. 97, primo comma, ed ex 117, secondo comma, Cost., e 119, primo comma), ma anche la meno solida tra quelle prospettabili. Il che non significa, ancora una volta, che non sussista un fondato fumus di illegittimità della norma de qua, ma solo che le relative motivazioni sarebbero dovute essere diverse (o quanto meno prospettate in modo diverso) da quelle evocate nel ricorso.

 



[1] Locuzione intesa a rimarcare la previsione di LEA non ricompresi nel novero stabilito nella disciplina normativa dello Stato.

[2] “Il Consiglio regionale, entro i successivi sessanta giorni, apporta le necessarie modifiche alle leggi regionali in contrasto, o le sospende, o le abroga. Qualora il Consiglio regionale non provveda ad apportare le necessarie modifiche legislative entro i termini indicati, ovvero vi provveda in modo parziale o comunque tale da non rimuovere gli ostacoli all'attuazione del piano o dei programmi operativi, il Consiglio dei Ministri adotta, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, le necessarie misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 796, lettera b), ottavo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in merito alla possibilità, qualora sia verificato che il rispetto degli obiettivi intermedi sia stato conseguito con risultati quantitativamente migliori, di riduzione delle aliquote fiscali nell’esercizio successivo per la quota corrispondente al miglior risultato ottenuto; analoga misura di attenuazione si può applicare anche al blocco del turn over e al divieto di effettuare spese non obbligatorie in presenza delle medesime condizioni di attuazione del piano.” (art. 2, comma 80, ottavo e ultimo periodo, della legge n. 191/2009).

[3] Tale è il senso del sesto periodo del citatoart. 2, comma 80, citato secondo cui: “Gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro.”.



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