
PDC VS REGIONE SICILIANA
Ricorso per legittimità costituzionale del 20 gennaio 2025, n. 3,
in (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.6 del 5-2-2025)
Il Presidente del Consiglio dei ministri propone ricorso in via principale avente per oggetto l'art. 28, comma 16, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2024, n. 51, per ritenuta illegittimità costituzionale in relazione agli artt. 81 e 117, comma 3, Cost.
La citata disposizione prevede che: «L'assessorato regionale della salute è autorizzato, a decorrere dall'anno finanziario 2024, a riconoscere l'adeguamento tariffario alle strutture riabilitative per disabili psico-fisico-sensoriali, alle comunità terapeutiche assistite, alle residenze sanitarie assistenziali e ai centri diurni per soggetti autistici, che applicano i C.C.N.L. di categoria, nella misura del 7 per cento a valere sui fondi del Servizio sanitario regionale nel rispetto del Piano operativo di consolidamento e sviluppo. L'art. 49 della legge regionale n. 3/2024 è abrogato».
A sua volta detto art. 49 veniva impugnato dal Governo innanzi alla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 197 del 2024, accoglieva il ricorso, affermando che: «le regioni "sono chiamate a contribuire al raggiungimento di un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza di assicurare (almeno) i livelli essenziali di assistenza e quella di garantire una più efficiente ed efficace spesa pubblica, anch’essa funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico del settore" (sentenza n. 76 del 2023, punto 6.1.4. del diritto).
Secondo, il ricorrente, l'art. 28, comma 16, della legge regionale n. 28 del 2024 riprodurrebbe - nella sostanza - la disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, nella parte in cui prevede - nuovamente - un «adeguamento tariffario alle strutture riabilitative per disabili psico-fisico-sensoriali, alle comunità terapeutiche assistite, alle residenze sanitarie assistenziali e ai centri diurni per soggetti autistici, che applicano i C.C.N.L. di categoria, nella misura del 7 per cento a valere sui fondi del Servizio sanitario regionale».
Pertanto, la disposizione oggetto della censura con il ricorso all’esame si porrebbe anch'essa in contrasto con gli articoli 81 e 117, comma 3, della Costituzione, per il tramite delle «norme interposte» di cui agli articoli 8-quinquies e sexies del decreto-legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191; ciò in quanto la Regione Siciliana è tutt'ora sottoposta ai vincoli del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, in base al quale essa non può erogare livelli ulteriori di assistenza rispetto a quelli previsti dalla normativa statale.
Secondo il ricorrente, si tratterebbe di un incremento tariffario che – nonostante il formale richiamo al «rispetto del Piano operativo di consolidamento e sviluppo» - si porrebbe in evidente contrasto con gli impegni finanziari assunti dalla Regione Siciliana, pregiudicando l'equilibrio economico del Servizio sanitario regionale. In altri termini, la Regione, con l’impugnato art. 28, comma 16, sarebbe venuta meno al divieto di introdurre nuove spese incidenti sulle voci del proprio bilancio relative alla spesa sanitaria, in violazione degli articoli 81 e 117, comma 3, della Costituzione, laddove riserva allo Stato la determinazione dei princìpi fondamentali in materia di «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica», in relazione alle norme «interposte» di cui agli articoli 8-quinquies e sexies del decreto-legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
Né, secondo il Presidente del Consiglio, l'intervento normativo regionale troverebbe fondamento normativo nello statuto speciale di autonomia di cui al regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, in quanto, se è vero che l'art. 17, comma 1, lettera b), dello statuto di autonomia consente alla Regione di emanare leggi in materia di «igiene e sanità pubblica», è altrettanto vero che tale competenza legislativa andrebbe esercitata «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato», ai quali, secondo il ricorrente, si potrebbero ricondurre anche le norme statali «interposte» sopra richiamate (cfr., ex plurimis, sentenza n. 197 del 2024).
a) Art. 81
Per il profilo della norma costituzionale in titolo, prima di entrare nel merito va rilevato come sarebbe stata necessaria un’indagine preliminare sulla natura giuridica dell’adeguamento tariffario in questione, indagine volta ad appurare se, a proposito della norma impugnata, si tratti di incremento già eventualmente previsto a legislazione vigente ovvero di una decisione nel senso di una nuova o maggiore spesa. In altre parole, come sempre è preliminare, nella valutazione della legittimità o meno della copertura finanziaria, accertare se si sia di fronte ad un nuovo o maggiore onere oppure, per esempio, ad un trascinamento degli effetti della legislazione vigente (può essere il caso dell’inflazione). Laddove è del tutto ovvio che, nel secondo caso, in sé la decisione circa l’adeguamento tariffario non pone un problema di copertura finanziaria ex art. 81 Cost., ma, eventualmente, se ed in quanto incompatibile con gli equilibri finanziari complessivi dell’ente, una sua mancata coerenza con i vincoli complessivi previsti dall’art. 97, primo comma, Cost. Una norma, quest’ultima – va rilevato con decisione - cui si continua a non dare il giusto peso, pur trattandosi di una disposizione di chiusura nella quale vanno a confluire anche le eventuali, mancate coperture finanziarie di cui al precedente art. 81, terzo comma, Cost.
Dal ricorso proposto non è dato evincere dunque se, nella fattispecie, il necessario approfondimento per i profili esposti sia stato o meno effettuato, per cui, sempre nell’eventualità che non si tratti di una decisione discrezionale di nuova o maggiore spesa, si sarebbe dovuta reclamare la lesione della norma costituzionale da ultimo evocata, nella misura in cui il trascinamento oneroso non fosse stato compensato da altre misure, quale non sembra essere il caso. Fin qui emerge dunque un difetto di motivazione nel ricorso in questione, per i suoi aspetti immediatamente finanziari.
Anche il significato giuridico del successivo vincolo di cui al 7 per cento avrebbe dovuto essere oggetto di approfondimento, per i medesimi motivi, anche sotto il profilo della coerenza con gli esiti dell’adeguamento tariffario, di cui non risulta chiarito se essi raggiungano il 7 per cento oppure una misura minore in vista di eventuali, futuri adeguamenti, sia pur nel limite del limite determinato. Né è chiaro di quanto differisca detto limite rispetto a quello attuale, il che rileva ai fini della valutazione della natura giuridica degli effetti della norma de qua, perché potrebbe anche trattarsi dell’apposizione di un tetto massimo di spesa, in ipotesi di carattere virtuoso ai fini della gestione della spesa del comparto.
Il ricorso appare dunque carente - prima ancor che, eventualmente, per difetto di motivazione sul piano meramente formale (per i motivi illustrati) - per il fatto di non aver previamente sviluppato - almeno secondo quanto risulta - i dovuti approfondimenti, limitandosi, esso, a trarre conclusioni senza partire, però, da una base giuridica consolidata e sopratutto certa.
b) Art. 117, terzo comma, Cost.
Anche nel caso del ricorso all’esame, come quello presentato dall Governo contro la citata disposizione contenuta nella legge della Regione Siciliana n. 51 del 2024, viene sollevata questione di costituzionalità per ritenuta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost, e delle norme interposte costituite dagli articoli 8-quinquies e sexies del decreto-legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
A parte il riferimento, quale norma interposta agli articoli 8-quinquies e sexies [recte, art. 1-lett. b, quinquies e sexies] del decreto-legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, mentre nel ricorso contro la legge della Regione Puglia si fa riferimento all’art. 1, comma 7, del citato d.lgs. n. 502 del 1992, anche in questo caso la norma interposta più significativa è individuata dal Governo nell’art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (in quanto quelle del d.lgs. n. 502 del 1992 assumono una valenza sostazialmente programmatica, non a caso, non valorizzate dalla giurisprudenza costituzionale citata nel ricorso).
Nel caso all’esame, significativo è il richiamo – contenuto nel ricorso, di cui, peraltro, si assume violazione di giudicato - della sentenza n. 197 del 2024, che ha deciso nel senso dell’illegittimità costituzionale dell’art. 49 della legge regionale n. 3/2024, di cui la norma regionale impugnata costituirebbe (asseritamente, una non consentita) sostanziale riedizione.
Si vuole qui rimarcare il brano contenuto nel punto 2.1.3. del diritto della citata sentenza n. 197, laddove la Corte ha ritenuto rilevante ai fini del decidere quanto, in proposito, controdedotto dalla difesa regionale, e cioè che “le variazioni in aumento” derivanti dalla nuova spesa sanitaria conseguenti alla norma regionale oggetto di scrutinio non avrebbero comprtato l’esorbitanza dai limiti derivanti dai valori nazionali di riferimento, nel senso che “l’incremento delle tariffe avrebbe trovato copertura nel piano di rientro, così dovendosi considerare superato il divieto di aggravamento delle spese di cui alla norma interposta evocata dal ricorrente” (l’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009).
La Corte ha preso in considerazione detta significativa controdeduzione, che trova, infatti, pieno fondamento nella citata norma interposta statale, nel senso dell’operare della preclusione di ulteriori spese sanitarie solo in caso di dimostrato inadempimento del concordato (tra Stato e Regione) piano di rientro dal disavanzo regionale sanitario; tuttavia, la Corte medesima ha superato l’eccezione di merito sollevata dalla difesa regionale sulla base del rilievo che il “dato di fatto allegato” dalla Regione è “rimasto privo di dimostrazione”, tant’è che la difesa erariale, nel corso dell’udienza pubblica lo ha specificamente contestato, “sostenendo che nessuna previsione del piano di rientro ha contemplato la possibilità, per la Regione Siciliana, di aumentare le tariffe per le prestazioni assistenziali indicate dall’art. 49 della legge regionale in esame”.
A tal riguardo, il segnalato passaggio della sentenza n. 197 avvalora quanto (dianzi) osservato con riferimento all’impostazione del ricorso del Governo contro la legge della Regione Puglia (Ricorso per legittimità costituzionale 14 gennaio 2025, n. 2, in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.5 del 29-1-2025), circa, cioè, il carattere “non inibente”, in sé, della previsione per legge di una prestazione sanitaria da parte di una Regione in disavanzo sanitario dovendosi, piuttosto, previamente acclarare la sussistenza o meno dell’aggravamento della nuova spesa sanitaria introdotta dalla legge regionale in relazione al percorso di ripiano del disavanzo sanitario in cui la Regione versi.
Quanto poi alle criticità dell’impianto del ricorso governativo avverso alla Regione regionale all’esame trovano conferma i rilievi già evidenziati in relazione all’analogo ricorso presentato contro la legge della Regione Puglia, in relazione ad una inversione dell’ordine delle questioni di legittimità costituzionali che avrebbero potuto essere sollevate, essendosi concentrato il Presidente del Consiglio a una formulazione della censura in relazione al parametro di cui all’art. 117, comma 3, Cost. e non anche, e prioritariamente, all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
07/03/2025
01/08/2022
02/04/2021