FOCUS - Territorio e istituzioni N. 7 - 07/03/2025

 Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 26 febbraio 2025 (della Regione Puglia)

Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 26 febbraio 2025 (della Regione Puglia). (G.U. Serie Speciale- Corte costituzionale, n. 12 del 19 marzo 2025, punto n. 11).

E’ stato presentato un ricorso per questione di legittimità costituzionale da parte della Regione Puglia contro il Presidente del Consiglio dei ministri per asserita violazione di una serie di norme costituzionali ad opera, “nelle parti in cui non sono stati ivi previsti, in favore delle regioni e, quindi, in favore della Regione Puglia, né la restituzione delle risorse dalle stesse anticipate ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 586, della legge n. 208/2015, né i trasferimenti relativi al fabbisogno annuale per l’erogazione degli indennizzi di cui alla legge n. 210/1992, della intera legge 30 dicembre 2024 n. 207, recante «Bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027»”.

Nel ricorso vengono evocate, dunque, numerose norme costituzionali, come riportato, in relazione a gruppi omogenei di argomenti di cui ai vari punti del ricorso.

1)      Art. 81 Cost.

Nei Motivi del ricorso il punto 6 concerne “la violazione degli articoli 81, 117, III, IV e VI co., 118 Cost. nonché dell’art. 144 decreto legislativo n. 112/1998 quale norma interposta, in relazione all’art. 119 della Costituzione”.

Scarno è in verità il riferimento all’art. 81 Cost., a proposito del quale viene fatto sinteticamente presente che “le norme che si censurano si prestano a rilievi di illegittimità costituzionale altresì con riguardo all’art. 81, ultimo comma, della Costituzione sotto il profilo della garanzia degli equilibri di bilancio, cui sono tenute a concorrere anche le pubbliche amministrazioni. Infatti, il suddetto mancato ristoro finalizzato a reintegrare le casse regionali (depauperate non più in via transitoria in relazione a responsabilità non ascrivibili) compromette, com’è di tutta evidenza, il raggiungimento dell’equilibrio finanziario del bilancio regionale che si trova a far fronte ad una minore disponibilità, con conseguente violazione del su menzionato art. 81, ultimo comma, della Costituzione”.

Si tratta di un riferimento non conferente, in base alla riportata motivazione. Ciò non solo per motivi formali, ma anche per motivi sostanziali. Dal primo punto di vista, il richiamo all’ultimo comma dell’art. 81 citato non è congruente, in quanto tale disposizione si limita solo a prevedere la devoluzione ad una futura legge “rinforzata” la disciplina di una serie di temi, tra cui gli equilibri della finanza pubblica (“l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci”). Dal secondo punto di vista, il richiamo all’art. 81 non è corretto, perché la materia degli equilibri di bilancio è fissata in via diretta dall’art. 97, primo comma, ed in via meno diretta dagli artt. 117, primo comma, e 119, primo comma, Cost. È importante evidenziare che ciò che lega tali tre norme è solo il fatto che la finanza pubblica domestica deve essere in linea con la normativa eurounitaria in materia, ante 2025 in termini di saldo strutturale come variabile di controllo, divenuta, a partire dal 2025, la spesa primaria netta, sempre per centrare gli obiettivi di riduzione dei debiti pubblici.

In base a questa premessa, emerge il vero nodo di base che la Corte costituzionale è chiamata a sciogliere. Infatti, da un lato, sussiste l’obbligo, fissato dalle disposizioni costituzionali da ultimo richiamate, di contribuire, ad opera dell’intero conto consolidato delle pubbliche amministrazioni e quindi anche da parte delle Regioni, agli obiettivi di finanza pubblica fissati dalla normativa eurounitaria, da reinterpretare in senso restrittivo per gli obiettivi di debito; dall’altro, si è in presenza dell’obbligo a carico delle Regioni, nella fattispecie, di svolgere funzioni onerose in adempimento di oneri legislativi fissati dallo Stato, con la precisazione, in questo secondo caso, che la legge statale dovrebbe già prevedere un finanziamento ad hoc.

Questa sembra essere la corretta cornice giuridica di fondo entro cui va inquadrata la valutazione che si può esprimere sul piano metodologico sul ricorso. E da questo punto di vista il ricorso non appare operare le opportune distinzioni, non enucleando con sufficiente precisione i due profili qui emersi e di stringente conflittualità. Ed è in questo quadro che vanno valutati altresì i riferimenti agli artt. 117 e 119 Cost.

2)      Art. 117 Cost.

I delineati rilievi di metodo unitamente alla richiamata cornice ordinamentale unionale posta a presidio della tenuta degli equilibri di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico condiziona la significatività dei vizi di costituzionalità evocati nel ricorso pur a fronte dell’imponente mole redazionale del ricorso medesimo.

Vengono, infatti, in primo luogo, censurate risalenti disposizioni statali (art. 1, comma 586, legge n. 208/2015; art. 1, comma 821, legge n. 178/2020) per l’omessa previsione in esse della compensazione di anticipazioni con fondi regionali di oneri obbligatori di spesa di carattere sanitario; viene anche censurato l’intero testo della legge di bilancio n. 207 del 2024, nonché, in particolare, l’art. 1, commi da 273 a 384, e commi da 784 a 794, e l’art. 3 e l’annessa Tabella n. 2, della medesima legge n. 207.

Le censure muovono da condivisibili critiche di fondo del vigente assetto costituzionale intese a denunciare, nella sostanza, l’inattuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, e, in particolare, il pieno esplicarsi del principio dell’autonomia regionale di cui all’art. 119, primo comma, Cost. che poneva e pone, quale corollario, un principio del parallelismo tra responsabilità di disciplina e responsabilità finanziaria (punto 1 del ricorso) in virtù del criterio di corrispondenza tra le entrate e le responsabilità di spesa connesse alle materie di competenza ripartita e riservata alle Regioni (Corte cost., ex plurimis, sentt. 40/2022; n. 17/2005; n. 16 e n. 17/2004; n. 370/2003).

Sembra, tuttavia, trattarsi, per un verso, di censure affidate a considerazioni di carattere sistemico attinenti al merito politico dell’attuazione della riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione e, per altro verso, di ritenuti vizi configurati in modo generico e non puntuale, peraltro riguardanti (anche due) disposizioni di legge per i quali termini d’impugnazione in via principale sono oramai decorsi. Vengono, infatti, richiamati a parametro: a) il “principio di solidarietà”, b) la “grave compromissione del rispetto dell’assolvimento delle proprie funzioni”, imputabili all’accollo da parte della Regione Puglia di oneri finanziari previsti da disposizioni statali, c) la previsione di disposizioni statali di coordinamento finanziario prive del connotato della “temporaneità” che dovrebbe caratterizzarne i limiti di coerenza costituzionale, con la conseguenza che “[l]a omessa assegnazione di somme per gli indennizzi corrode la relazione individuo società a sfavore del primo” (punto 4 del ricorso); d) si denunciano, inoltre, la perdurante mancata definizione dei LEP e e) l’inadeguatezza delle istruttorie finanziarie da parte del legislatore statale incidenti sulla sostenibilità dei costi sanitari posti a carico degli enti territoriali.

In sostanza, le questioni poste nel ricorso ruotano attorno alla ritenuta “arbitrarietà della legge” (nella specie, delle leggi statali oggetto di impugnativa), che, per le ragioni esposte nel ricorso si convertirebbero in vizio di costituzionalità. È noto che il tema è molto discusso per i profili che esso sottende quali concetti di complessa definibilità quali la “razionalità”, la “ragionevolezza”, la “giustizia”, tematiche di difficile inquadramento anche in considerazione dei possibili “slittamenti” del potere giudiziario costituzionale su quello legislativo di carattere politico, com’è noto, tendenzialmente libero[1].

3)      Brevi osservazioni conclusive

Appare evidente, a questo punto, anzitutto come i profili riferiti all’art. 117, terzo comma, Cost., debbano essere letti all’interno della problematica finanziaria di cui ai menzionati artt. 81, 91, 117 e 119, primi commi, Cost. Ma ciò che è importante in tale scenario, è l’indicazione che in questa sede si può offrire de jure condendo alla stessa giurisprudenza costituzionale, tenuto conto in particolare del generale principio di “ragionevolezza”. Infatti, sembra possibile uscire dalla strettoia imposta dallo Stato centrale agli enti pubblici tra obblighi di risanamento, da un lato, e svolgimento di funzioni obbligatorie, da un altro lato, raccomandando a Governo e Parlamento nazionali di prevedere o comunque di fornire indicazioni agli enti pubblici (sempre con copertura normativa di rango primario e senza ledere ovviamente l’autonomia finanziaria complessiva “a valle”), nel senso dell’esplicita e dettagliata riduzione di servizi che essi altrimenti debbono obbligatoriamente rendere alle collettività di riferimento. È ciò che in fin dei conti effettua già da anni lo Stato centrale quando pone in essere la componente restrittiva delle proprie manovre.



[1] Da ultimo, cfr. sul complesso tema, Presidente G. Amoroso, Relazione sull’attività della Corte costituzionale relativa all’anno 2024, Palazzo della Consulta, 11 aprile 2025.



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