FOCUS - Territorio e istituzioni N. 7 - 07/03/2025

 Corte Costituzionale, Sentenza n. 45/2025, Criticità del bilanciamento della spesa costituzionalmente necessaria con la cd. spesa indistinta a fronte di risorse scarse alla luce della nuova Governance europea

La sentenza n. 45 del 2025 della Corte costituzionale: profili di criticità del bilanciamento della spesa costituzionalmente necessaria con la cd. spesa indistinta a fronte di risorse scarse e degli ambiti definitori del coordinamento finanziario alla luce della nuova Governance europea.

(In G.U. Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 17 del 23 aprile del 2025)

1. Con la sentenza n. 45, depositata lo scorso 17 aprile 2025, la Corte ha, tra l’altro, dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 1, commi 494 e 497, della legge n. 213 del 2023, promossa, in riferimento all’art. 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, Cost., e b) dell’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 3, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost., sollevate dalla Regione Liguria.

2. In relazione alla prima questione (sub a), la Regione ricorrente riteneva che, le disposizioni censurate nel trasferire risorse dal Fondo di solidarietà comunale (FSC) al neoistituito «Fondo per l’equità del livello dei servizi» (ELS), con riduzione della composizione del primo in favore del secondo, avrebbero avuto le seguenti conseguenze: i) rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni fondamentali, ii) precludere il finanziamento dei LEP e iii) ridurre la componente verticale del fondo stesso, con violazione dei parametri evocati.

2.1. Secondo la Corte, le censurate disposizioni, espressive della discrezionalità del legislatore, recepiscono il monito formulato dalla stessa Corte con la sentenza n. 71 del 2023, in cui si è affermato che l’art. 120, secondo comma, Cost. abilita il potere sostitutivo dello Stato come rimedio all’inadempienza dell’ente territoriale, ove lo richieda «la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».

Anche la questione sull’attuale composizione del FSC è stata ritenuta non fondata in considerazione della complessiva disciplina del fondo speciale istituito dal comma 496 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023. Infatti, ai sensi della lettera d) del comma 495 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, a partire dal 2029, il FSC sarà progressivamente reintegrato delle risorse stanziate dalle leggi di bilancio 2021-2022 e finalizzate al potenziamento dei servizi sociali comunali, degli asili nido e del trasporto di studenti disabili (art. 1, commi 791 e 792, della legge n. 178 del 2020 e art. 1, commi 172, 174, 563 e 564, della legge n. 234 del 2021). Sicché, una volta conseguiti, da parte di tutti i comuni, i LEP (peraltro, ancora oggetto di perdurante ancora non compiuta definizione) e gli obiettivi di servizio di cui ai commi da 496 a 501, le risorse in esame perderanno la loro natura di interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., e confluiranno, quindi, quale componente verticale nel FSC, destinato alla perequazione generale.

Non fondata è stata poi ritenuta la questione per il profilo dell’insufficienza del FSC a finanziare le funzioni fondamentali degli enti locali. Richiamando la pronuncia n. 63 del 2024, la Corte, relativamente alla composizione del FSC, ha ricordato che gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali non devono essere valutati «in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario». Talché, le censurate disposizioni, secondo la Corte, vanno inquadrate nel contesto di una legislazione statale intesa a sostenere con ingenti risorse aggiuntive gli enti locali, come nel caso dell’emergenza COVID-19 e della crisi ucraina ma anche per concorrere alla realizzazione dei progetti legati al PNRR.

Quanto, poi, alla provenienza delle risorse e, quindi, alla natura verticale od orizzontale dei fondi perequativi (ossia, rispettivamente, alla fonte statale o meramente comunale), la Corte, nella stessa menzionata sentenza n. 63 del 2024, ha affermato che il modello di perequazione esclusivamente verticale è «espressamente imposto solo dall’art. 119, quinto comma, Cost., il quale attribuisce chiaramente allo “Stato” il compito di destinare “risorse aggiuntive” e di effettuare interventi speciali a favore di “determinati” enti territoriali, quando lo richiedano, tra l’altro, gli obiettivi di promuovere lo sviluppo economico, di coesione e solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, o infine, di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» (sentenza n. 63 del 2024).

2.2. Infine, dando continuità al caveat già contenuto nella sentenza n. 195 del 2024, la Corte ha, comunque, tenuto a ribadire che dopo circa ventiquattro anni dalla riforma costituzionale del 2011, lo Stato continua a generare un sistema di finanza locale derivata, alimentata da trasferimenti veicolati da fondi settoriali, così allontanandosi dal modello di autonomia finanziaria delineato dall’art. 119 Cost. Emblematico, ha sottolineato la Corte, è il fatto che la componente ristorativa per il riparto del FSC, nel 2025, anziché confluire nel FSC, sia stata dirottata in un ennesimo fondo vincolato (comma 754 dell’art. 1 della legge n. 207 del 2024).

3. Anche la seconda questione è stata ritenuta non fondata.

3.1. La censura si appuntava sul contributo alla finanza pubblica a carico dei comuni per gli anni dal 2024 al 2028, pari a euro 200 milioni, «ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto della spesa relativa alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, degli schemi di bilancio degli enti locali, come risultanti dal rendiconto di gestione 2022» (art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023): secondo la ricorrente, tale disposizione, nell’imporre un “taglio lineare”, contravverrebbe a quanto stabilito nell’intesa sottoscritta in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali il 30 gennaio 2020 – con cui lo Stato si era impegnato a ripristinare progressivamente la componente verticale del FSC – con ciò determinando la violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali riconosciuta dall’art. 119, commi primo, terzo e quarto, Cost., e precludendo la piena erogazione dei LEP e violerebbe altresì il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.

Al riguardo, la Corte ha, peraltro, sottolineato che detti interventi di coordinamento devono essere connotati da “temporaneità” ed essere riferiti non a voci minute di spesa ma rivolti a stabilire solo un “limite complessivo”, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004 […])» (sentenza n. 43 del 2016); tanto più, nell’attualità – in cui lo Stato è chiamato a perseguire l’esigenza di contenimento della spesa pubblica per il comparto degli enti locali come anche per quanto previsto per le regioni - in considerazione degli impegni assunti in sede europea con la sottoscrizione del nuovo Piano strutturale di bilancio, di durata settennale, che vincola il Paese a rispettare una traiettoria di spesa netta (nuova governance economica europea).

3.2. Ebbene, secondo la Corte, la legislazione statale oggetto di censura, risponde ai predetti requisiti di “temporaneità” (cfr. punti 6.2. e 6.3.1. del diritto) e di garanzia dell’autonomia finanziaria degli enti, laddove, nel rispetto del principio della leale collaborazione (cfr. punti 6.3. e 6.3.1. del diritto) si limita a definire l’importo complessivo del contributo richiesto, lasciando dunque un significativo margine di autonomia alle regioni e agli enti locali in merito alle materie/voci di bilancio relativamente alle quali effettuare i risparmi e, soprattutto, escludendo dal calcolo delle spese quelle concernenti il finanziamento dei diritti sociali.

3.3. La Corte ha anche ribadito l’orientamento già tracciato con la propria sentenza n. 195 del 2024, segnatamente, nella parte in cui è stata ritenuta coerente con i principi costituzionali il criterio individuato dal legislatore volto ad attuare il principio della spesa costituzionalmente necessaria, prevedendo che, in un contesto di risorse scarse, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quelle che si connotano come funzionali a garantire la tutela dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia.

4. Infondata è stata anche ritenuta la questione, promossa in via subordinata, secondo cui l’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023 sarebbe discriminatorio e irragionevole nel non prevedere che siano esentati dal contributo alla finanza pubblica i comuni che, pur mantenendo il bilancio in equilibrio, presentino un elevato debito pro capite, quando invece la disposizione esclude dal concorso alla finanza pubblica i comuni in dissesto finanziario o in procedura di riequilibrio finanziario (cosiddetto pre-dissesto) o che a fronte di un elevato disavanzo pro capite abbiano sottoscritto specifici accordi con lo Stato per ottenere uno speciale contributo statale. Di qui l’asserita violazione del principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost. nonché dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119, commi primo, terzo e quarto, Cost.

La censura regionale non è stata ritenuta fondata, perché pretende di assimilare situazioni obiettivamente diverse: il legislatore statale ha preso in considerazione ipotesi speciali e non ha, invece, esonerato i comuni che presentino un elevato debito pro capite, contratto per spese di investimento e che abbiano in corso “ordinari” piani di rientro dal disavanzo di amministrazione (in senso analogo, da ultimo, sentenza n. 195 del 2024).

5. Come sopra evidenziato, la sentenza ribadisce gli approdi di ricostruzione ordinamentale già indicati nella sentenza n. 195 del 2024. Ma come è stato messo in evidenza dalla dottrina[1], quella sentenza (la 195) e di riflesso quella in commento, presentano rilevanti profili di criticità che permangono non risolti. Su tutti si tratta del bilanciamento delle spese cd. costituzionalmente necessarie rispetto alle cd. spese indistinte in una situazione di risorse scarse e di quello concernente la cd. temporaneità delle misure di coordinamento finanziario.

5.1. In relazione al primo profilo (bilanciamento), come già messo in luce[2], si osserva che sarebbe bastato analizzare i bilanci delle Regioni, caratterizzati anch’essi, come quello dello Stato, da una larghissima preponderanza di spese obbligatorie o comunque direttamente discendenti da titoli giuridici, per escludere la presenza di spese indistinte[3], almeno in misura tale da fungere potenzialmente da copertura di spese costituzionalmente necessarie. Ancora una volta, dunque, nelle sentenze della Corte costituzionale è dato riscontrare la presenza di formulazioni generiche, prive di un aggancio solido al sistema giuscontabilistico.

Da ribadire[4] è anche che lo stesso concetto di spese costituzionalmente necessarie, oltre che generico e creativo (ciò che un giudice deve sempre evitare), è anch’esso pienamente soggettivo, potendosi riferire alla spesa sanitaria secondo la Corte costituzionale ovvero ad altri princìpi ed istanze parimenti dotati di copertura costituzionale, ma di altro contenuto (ad esempio, il sostegno agli indigenti).

5.2. Con riferimento al secondo profilo (temporaneità delle misure di coordinamento finanziario), è sufficiente osservare che il “requisito” della “temporaneità” sembra oramai da ritenersi travolto dalla strutturalità delle misure connesse agli impegni assunti in sede europea in base al nuovo Patto di Stabilità e Crescita, la cui proiezione non può essere considerata quale mero “allungamento” (così, punto 6.3.1. del diritto) delle misure di coordinamento statali, ma quale carattere costitutivo delle misure stesse.

Ne consegue che dal 2001 ad oggi, l’ambito materiale del coordinamento finanziario, come via via ridefinito dalla giurisprudenza costituzionale, ha perso almeno due degli originari requisiti che lo connotavano, quello della “temporaneità” (come si è visto) e, nella sostanza, anche quello concernente il carattere dettagliato della norma interposta statale, che, pur se formulata in modo “puntuale”, supera il test di costituzionalità sulla base del tono finalistico della norma medesima (con effetto recessivo sulla tipica distinzione della legislazione ripartita, competenza esclusiva - competenza di dettaglio). Rimane la garanzia procedimentale dell’intesa con le Regioni, della quale, a tutela della loro autonomia (artt. 5, 114 e 119 Cost.), la giurisprudenza costituzionale dovrà approfondire l’intensità della “partecipazione” regionale, segnatamente nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta, rimanendo così sullo sfondo la caratterizzazione tra intese “in senso forte” (con codeterminazione paritaria del contenuto dell’atto) e intese “in senso debole” (per l’eventuale superamento di eventuali situazioni di stallo, per consentire, comunque, l’adozione dell’atto legislativo, venendosi, in tale secondo caso, esse a connotare più quale parere che come intesa in senso stretto)[5].

La giurisprudenza della Corte conferma, dunque, un carattere sovente tralaticio, almeno per queste materie, con la riproposizione inerziale di impostazioni non rivisitate alla luce dello sviluppo del quadro normativo nel frattempo intervenuto, sviluppo però richiamato, il che non costituisce certo una esimente.



[1] Forte C., Pieroni M., La sentenza n. 195 del 2024 della Corte costituzionale: commento a prima lettura, in www.Federalismi.it, 2025, n. 8.

[2] Ivi.

[3] Per l’estensione alle Regioni della disciplina che individua la natura obbligatoria o meno della spesa regionale in relazione ai titoli legislativi che ne costituiscono il presupposto, v. preambolo al d.lgs. n. 118 del 2011; la normativa di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (in esso contenuta), nel fare richiamo, nel preambolo, all’art. 1, comma 4, della legge n. 196 del 2009 (in assonanza con l’art. 1 della legge delega n. 42 del 2009), ribadisce la qualificazione delle disposizioni della citata disciplina statale quali “princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione”.

[4] Ibidem.

[5] A. Anzon Demmig, I poteri delle Regioni, cit., p. 195; Id., «Leale collaborazione» tra Stato e Regioni, modalità applicative e controllo di costituzionalità, in Giur. cost., 6/1998; S. Bartole, Principio di collaborazione e proporzionalità degli interventi statali in ambiti regionali, in Giur. cost.,, 1/2003; V. Lopilato, Le funzioni amministrative (capitolo 6), in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Parte generale, p. 178(a cura di) G. Corso; V. Lopilato, Milano 2006.



Execution time: 26 ms - Your address is 3.141.202.105
Software Tour Operator