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NUMERO 19 - 10/10/2012

 Dai Sindaci ai Governatori

In principio era il Sindaco direttamente eletto. E il Sindaco era presso il popolo. Anzi era il popolo. Il dogma della piena efficienza democratica del modello comunale, con l’introduzione del nuovo sistema elettorale e con la torsione monocratica nell’assetto organizzativo fondamentale dei Comuni in virtù della legge 25 marzo 1993, n. 81, è tra i più resistenti della storia delle istituzioni italiane. Insieme all’altro – altrettanto intangibile – secondo il quale quella legge è stata l’unica vera grande virtuosa riforma che sia stato possibile produrre in Italia quanto al circuito della rappresentanza. Naturalmente tali dogmi possono essere sottoposti a critica su base razionale, cioè sottraendoli al contesto degli articoli di fede e delle credenze: e si potrebbe osservare che l’investitura tendenzialmente plebiscitaria non è affatto, in sé, più confacente al principio democratico di quanto sia l’investitura mediata da organi collegiali a loro volta eletti; che dovrebbe essere dimostrato il vantaggio – in termini di stabilità politica, di efficacia dell’azione amministrativa e di efficienza dei pubblici uffici – derivante dall’affermarsi della democrazia di investitura a discapito della democrazia di operazione; che, per apprezzare le virtù del sistema, dovrebbe essere altresì rilevata un’accresciuta propensione delle comunità locali alla partecipazione politica, in ragione del convincimento, in esse maturato, di una maggiore trasparenza nei meccanismi della rappresentanza. Qui, però, interessa soprattutto interrogarsi sugli obiettivi cui fu originariamente orientata l’innovazione del sistema elettorale comunale. E, in connessione, sulle ragioni che hanno condotto all’irresistibile estensione dei capisaldi del modello al contesto regionale... (segue)



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