
Una società che opera nel settore sanitario chiede all’amministrazione comunale l’autorizzazione all’ampliamento della struttura in cui svolge le sue prestazioni. Di fronte a questa richiesta l’amministrazione resta inerte. La società indicata se ne duole proponendo ricorso. È dalla vicenda sommariamente descritta che scaturisce la pronuncia oggetto di queste note. Base normativa su cui si fonda è l’art. 8 ter, d.lgs. n. 502/1992, a tenore del quale «La realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione». Tuttavia, come accade anche nel caso preso in esame, l’«autorizzazione» indicata è necessaria anche laddove sia richiesto «l’ampliamento» di strutture già esistenti. A questo dato normativo è necessario aggiungerne un altro. Il successivo comma 3 dell’articolo sopraindicato stabilisce che, per la «realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie, il comune acquisisce (…) la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione». Verifica - come si precisa subito appresso - necessaria per «meglio garantire l’accessibilità ai servizi (…) in rapporto al fabbisogno complessivo», nonché alla migliore «localizzazione territoriale delle strutture presenti». In definitiva, per autorizzare un ampliamento come quello indicato, il Comune aveva bisogno di richiedere l’avviso regionale, sottoforma di verifica di compatibilità del progetto. Proprio in ciò sta il presupposto essenziale per applicare la nuova fattispecie del silenzio assenso fra P.A., ossia che sussista l’esigenza di richiedere ad altra amministrazione atti di assenso («assensi, concerti o nulla osta comunque denominati» come afferma la disposizione). Di richiedere, si badi bene, non necessariamente di ottenere tali atti, almeno in forma espressa. In forza di questa unione fra due amministrazioni (una procedente, l’altra consultata), i primi commentatori che si sono interessati al tema hanno parlato di silenzio assenso fra P.A. come istituto fondato su amministrazioni co-decidenti. Certo, merita subito osservare che non sarà agevole verificare il presupposto indicato. È infatti presumibile che la disciplina normativa non sempre chiarisca i casi in cui si tratti di (semplice) parere e quelli in cui invece si tratti di (più impegnativo) atto di assenso. In entrambe le ipotesi si tratta di atti interni al procedimento, c.d. atti endoprocedimentali, ma che possono avere valore e portata differenti. Del resto, fissando l’attenzione per un attimo sui pareri, non sarà neanche agevole distinguere le ipotesi in cui gli stessi siano, non solo obbligatori, ma anche vincolanti. È noto che il parere obbligatorio è tale quando è solo necessario richiederlo, ma non ottenerlo. Invece, il parere vincolante, oltre ad essere obbligatorio nel senso indicato, s’impone nel merito della scelta da assumere, naturalmente laddove negativo, ovvero non esplicitato nei termini. Senza allontanarsi troppo, il caso in esame sembra emblematico. In effetti, dalla lettura del dato positivo non emerge che l’atto che la Regione dovrà fornire in merito alla compatibilità del progetto sia, oltreché obbligatorio, anche vincolante. Perlomeno non si rintracciano indicazioni univoche in tal senso. Infatti, in mancanza di altre specificazioni, che il Comune debba acquisire la suindicata «verifica di compatibilità» non significa esattamente che la stessa debba essere positiva. Diversamente, potrebbe significare ad esempio che il Comune la debba richiedere e, una volta acquisita, anche se negativa, possa valutarla, decidendo nel merito in senso difforme ad essa. Solo la prassi giurisprudenziale aiuta ad affermare che, il menzionato art. 8 ter, contenga al suo interno un atto obbligatorio e vincolante. Non a caso, nella vicenda in esame, il Comune avvertiva la società interessata all’ampliamento di essere «in attesa» del parere regionale, indispensabile al rilascio della richiesta autorizzazione. Sul punto qualche margine di dubbio comunque resta. Ed è probabile, per questa via, che il «nudo e grezzo materiale delle leggi», come lo definiva Giannini, possa riservare qualche sorpresa a riguardo. Per riprendere le fila del discorso, all’aspetto edilizio, rientrante nella competenza comunale, si affiancava, nel caso oggetto d’attenzione, quello sanitario di competenza regionale, quest’ultimo legato alla peculiare destinazione della struttura. Come dire che, alla responsabilità decisionale del Comune, concorre l’apporto necessario della Regione... (segue)
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