Con la sent. n. 3/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, co. 3, della l. 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e 2, co. 6, del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), nella parte in cui non prevedono «per l’elettore che non sia in grado di apporre una firma autografa per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere un documento informatico con firma elettronica qualificata, cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi» (Cfr. punto 4.5, Considerato in diritto). La pronuncia, accogliendo le questioni di legittimità costituzionale promosse nell’ambito di un giudizio pendente dinnanzi al Tribunale di Civitavecchia (sul punto v., su questo Osservatorio, la nota del 25 settembre 2024 di G. Sulpizi), ha sanzionato l’incostituzionalità delle norme in oggetto per contrasto con gli artt. 2, 3, 48 e 49 Cost.
Il disposto della sentenza, recentemente anche reso oggetto di trasposizione da parte della legislazione elettorale (art. 4 del decreto-legge 19 marzo 2025, n. 27, convertito con modificazioni dalla l. 15 maggio 2025, n. 72), realizza, in primo luogo, un più che condivisibile approdo in termini di inclusione e civiltà, e costituisce, da un angolo visuale più propriamente giuridico, un’applicazione tanto lineare quanto paradigmatica e diretta del principio di eguaglianza sostanziale (sul tema, v., per tutti, G. Arconzo, I diritti delle persone con disabilità. Profili costituzionali, Franco Angeli, Milano, 2020; sulla sentenza, invece, v. F. Vivaldelli, Disabilità, diritti politici e democrazia digitale considerazioni a margine della sent. n. 3/2025 della Corte costituzionale, in La Rivista “Gruppo di Pisa”, n. 1, 2025, 157).
Le questioni di legittimità costituzionale proposte sono state sollevate nell’ambito di un giudizio promosso con ricorso ex art. 702-bis del c.p.c. da un elettore della Provincia di Viterbo che, essendo impossibilitato ad apporre firma autografa per impedimento fisico ed intendendo sottoscrivere digitalmente una lista di candidati alle elezioni del Consiglio regionale della Regione Lazio, aveva appreso di non poter impiegare a tale scopo la sottoscrizione digitale, di cui disponeva, in quanto, in base all’interpretazione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 82 del 2005, fornita dagli uffici elettorali, le norme del Codice dell’amministrazione digitale non potevano applicarsi all’ambito elettorale (punto n. 1, par. 4, Ritenuto in fatto).
Con l’ordinanza di rimessione, il giudice del rinvio evidenziava, perciò, in prima battuta, il contrasto delle norme impugnate con gli artt. 2 e 3 Cost.
Avuto riguardo all’art. 2, il contrasto con la Costituzione era costruito in modo piuttosto stridente, argomentandosi che la disciplina censurata violasse un caposaldo dell’architettura costituzionale: una norma che, tutelando i diritti inviolabili dell’uomo in vista dello svolgimento della sua personalità, involge tanto il profilo della partecipazione di ogni cittadino alla vita politica della Repubblica, quanto il correlativo aspetto di dovere, connaturato alla dimensione elettorale ed evincibile, soprattutto, ex artt. 2 e 48 Cost.
Con riferimento, invece, all’art. 3, l’ordinanza di rinvio evidenziava, immancabilmente, la lesione del principio di eguaglianza, indicando un motivo di contrasto largamente prevedibile nel suo configurarsi e, forse, di più chiara individuazione. Al riguardo, il giudice rimettente allertava, in particolare, in ordine al fatto che la normativa censurata, perpetrando una discriminazione in danno di chi, in ragione della propria condizione fisica e di salute, non potesse apporre una sottoscrizione autografa, impedisse la realizzazione di una piena eguaglianza tra i cittadini, senza che potesse, a questo proposito, soccorrere, alcuna altra interpretazione delle norme vigenti. Segnatamente, non avrebbe potuto ovviare alla portata discriminatoria della disciplina a questi casi applicabile neanche l’applicazione analogica dell’art. 28, co. 4, II e III periodo, del Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali (d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), in quanto la disciplina in oggetto, destinata ad elezioni diverse, non sarebbe stata estensibile ad altro tipo di elezioni e si riferiva alla sola ipotesi dell’elettore che non sapesse sottoscrivere o non fosse in alcun modo in grado di farlo, senza specificare se l’impedimento si riferisse all’apposizione di sole firme autografe, o a qualunque modalità di firma (cfr. il punto 2.1 del Ritenuto in fatto).
Sotto diverso angolo visuale, il profilo dell’eguaglianza era, poi, opportunamente preso in considerazione anche per la patente disparità di discipline che l’impossibilità di sottoscrizione delle liste del caso di specie realizzava se confrontato con l’avvenuto riconoscimento, previsto proprio a termini di legge, dell’uso della firma digitale nel procedimento referendario e di iniziativa legislativa popolare: una disparità resa ancor più ingiustificabile dal fatto che le norme sulla sottoscrizione delle liste elettorali e quelle, menzionate, per la raccolta delle firme assolverebbero alla medesima ratio, ossia garantire l’identità dell’elettore, e sarebbero rappresentative di diritti politici e funzioni costituzionali di pari rilievo.
Infine, la violazione costituzionale era ravvisata anche con riguardo agli artt. 48 e 49 Cost., specificamente per il fatto che il combinato delle norme censurate avrebbe compromesso i diritti politici riconosciuti dalle due disposizioni anche nella fase prodromica allo svolgimento delle elezioni (quella del procedimento elettorale preparatorio), nella quale devono potersi garantire tutte le possibilità, riconosciute al cittadino dall’ordinamento, di contribuire alla sequenza elettorale e di determinare, nel concorso con gli altri, l’offerta elettorale.
La pronuncia in commento ha spiegato una portata senz’altro significativa per l’evoluzione della materia. Il suo recente recepimento legislativo, qui già menzionato, ne è senz’altro prova e costituisce sicuro elemento nel senso di poter ritenere questa sentenza un provvedimento che non scontenta nessuno e che tutti possono, in altri termini, condividere.
Come affermato dalla Corte, la declaratoria di invalidità, colpendo la normativa censurata nella parte in cui non consentiva agli elettori impossibilitati di apporre firma autografa di servirsi della firma digitale, ha ampliato senza rischi le modalità di esercizio di un diritto e presenta molteplici punti di interesse, sia nella parte in cui si argomenta l’impraticabilità di interpretazioni analogiche, sia perché evidenzia, una volta di più, la perdurante obsolescenza della normativa elettorale di contorno: condizione che obbliga la Corte a una sorta di ripristino dell’eguaglianza in sussidiarietà, in supplenza al legislatore.
L’aspetto che, però, forse, più colpisce dell’intera vicenda è che le estensioni riconosciute dalla Corte, devono, per sua stessa disposizione, ritenersi applicabili «anche a tutti i casi in cui, pur a prescindere dalle particolarissime condizioni indicate nella richiamata disposizione, sussista comunque l’impossibilità certificata, per un grave impedimento fisico, di apporre una firma autografa», e ciò in ragione del fatto che in tutte queste situazioni è dato «riscontrare una eadem ratio (…) che, di conseguenza, rivela il carattere non necessario e non proporzionato dell’obbligo di rendere la dichiarazione verbale solenne» - sottolineati aggiunti.
In questo senso, l’aspirazione della sentenza è, allora, probabilmente, quella di una pronuncia additiva di principio che, originando dall’impugnazione in via incidentale di una norma prevista per l’elezione dei Consigli regionali, pone, con moto centripeto, le condizioni affinché si realizzino cambiamenti di grande momento sull’intera scala nazionale.
Al tempo del più tangibile disamore per la politica e di un generalizzato disinteresse per le consultazioni elettorali, oggi attestato da crescenti livelli di astensionismo, la sentenza in commento sferza, perciò, un duro colpo al torpore serbato, in materia, dal legislatore e prova, come altri interventi orientati in questo senso, a ripristinare, attraverso l’estensione della partecipazione, le forme della “liturgia repubblicana”, vale a dire quel necessario complesso di attività che danno attuazione al principio della sovranità popolare e che consentono lo svolgimento dell’ordinamento nelle forme dello Stato costituzionale e democratico.