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di Marcello Cecchetti
Giustizia e politica: spunti di riflessione e linee di priorità per un rinnovato equilibrio tra i poteri della Repubblica
Non si può fare a meno di condividere il dato generale di contesto da cui prende le mosse il dibattito al quale siamo stati invitati a partecipare in questa sede: il vero e proprio “vortice impazzito” con il quale si può descrivere l’attuale rapporto tra politica e magistratura.
Tale constatazione, secondo quanto più puntualmente ci viene suggerito nell’introduzione di Beniamino Caravita, può senz’altro essere ricondotta ad un fatto difficilmente discutibile: “Il raccordo tra interessi, mezzi di comunicazione di massa e (pezzi di) magistratura appare (ed è) finalizzato ad intervenire sulla politica e orientarla, rendendo difficilissima, se non impossibile, qualsiasi attività di governo”. Si tratta ormai di una percezione assai diffusa, che rende, purtroppo, l’immagine di organi giudiziari comunemente ritenuti in grado di dare vita ad iniziative processuali di tipo “persecutorio” nei confronti dei titolari di cariche politico-rappresentative; sono davvero molto lontani i tempi in cui Gustavo Zagrebelsky, nel suo saggio su Le immunità parlamentari del 1979, riteneva che “casi di questa portata, cui dovrebbero seguire iniziative di tipo disciplinare, se non addirittura penale, contro il magistrato che consapevolmente abbia abusato dei suoi poteri per una finalità politica del tipo indicato, sono quasi impensabili” (p. 91).
Vi è però anche un’altra faccia della medaglia, altrettanto difficile da disconoscere: la tendenza, sempre più spiccata, delle classi politiche e dei membri degli organi rappresentativi a manifestare diffidenza, insofferenza e, in qualche caso, persino diretta contrapposizione nei confronti degli organi titolari del potere giudiziario e, più in generale, del “sistema giustizia”; con la drammatica e inesorabile conseguenza che qualunque proposta di riforma tende ad accompagnarsi pericolosamente ad una progressiva delegittimazione dell’unico potere terzo e imparziale cui − come è ben noto − nessun ordinamento che voglia ritenersi “civile” può rinunciare.
In questo scenario, sembrano venuti meno i punti di riferimento e gli equilibri che i nostri padri costituenti avevano provato a disegnare; il che produce una ulteriore implicazione disfunzionale, consistente nel fatto che qualunque richiamo alla Costituzione vigente e ai suoi precetti viene inteso come utilizzo strumentale e contingente in funzione di asseriti “interessi di parte”.
(segue)
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