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NUMERO 15 - 23/07/2008

 Partiti politici e forma di governo: la difficile riforma di una ‘costituzione materiale’ radicata nella storia costituzionale del Paese

Pochi sono ormai gli studiosi che, nelle loro analisi sulla forma di governo parlamentare e sulle relative problematiche di funzionalità nonché nelle stesse prospettazioni de jure condendo (‘ingegneria’ istituzionale-costituzionale), rifuggono dalla utilizzazione di un metodo ‘realista’, nel quale trovi adeguata considerazione lo stretto rapporto esistente tra quadro normativo-costituzionale e sua concreta traduzione nella realtà. È ciò che nella dottrina italiana, da vecchia data, si vuole intendere quando si fa riferimento a nozioni come quelle di ‘costituzione materiale’, ‘vivente’, ‘reale’ o a terminologie similari, sulla cui risalente ambiguità, nondimeno, conviene tutta la dottrina costituzionalistica. Da questo punto di vista, vi è anzi chi si spinge fino a definire come “monche e fuorvianti”, sotto il profilo euristico, quelle analisi che si fondano sui (soli) criteri tipologici adottati dalla dottrina costituzionalistica dagli anni ’40 in poi del secolo scorso e perfino come inservibili le tradizionali tipologie delle forme di governo basate sulla mera definizione dei rapporti (e dei relativi equilibri) fra gli organi costituzionali in base al classico principio di separazione dei poteri.
L’approccio analitico (non solo più ricorrente ma perfino) obbligato, così, appare quello che, per il suo fondarsi su una concezione dinamica e non meramente statica dell’ordinamento giuridico-costituzionale, si prefigge di cogliere – oltre alla distribuzione costituzionale delle competenze e ai rapporti fra gli organi/poteri costituzionali – l’effettualità dei singoli istituti costituzionali e dei concreti rapporti esistenti fra gli organi costituzionali, in una parola, tutta quella complessa realtà delle relazioni fra le istituzioni costituzionali che definisce concretamente la living Constitution. Tale approccio, attento a cogliere, come si è detto, oltre al dato normativo formale, la stessa effettualità dell’ordinamento costituzionale, tuttavia, non può fondarsi – come avviene (più o meno frequentemente) nel ragionamento di chi non coglie le distinzioni esistenti fra (esercizio di) potere di revisione costituzionale e potere costituente– su concezioni svalutative della Costituzione, né può attribuire al presupposto pattizio sotteso in esso un valore quasi giuridico, individuando nelle forze politiche le naturali destinatarie di un potere (sostanzialmente costituente) di aggiornare, in modo sistematico e senza riforme formali, l’ordinamento costituzionale.

(segue)



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