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NUMERO 16 - 06/08/2008

 Privacy: diritto fondamentale oppure no

The right to be let alone. Così, nel lontano 1890, dalle colonne della prestigiosa Harvard Law Review, Samuel Warren e Louis Brandeis teorizzarono il diritto alla privacy. L’occasione per elaborare ed enunciare il right to privacy venne data da un episodio, accaduto nell’America di quegli anni. La vicenda è nota, ma vale la pena rievocarla brevemente; anche perché di grande attualità.
Samuel Warren, un giovane avvocato, aveva sposato la figlia del ricco bostoniano Byard, e aveva iniziato a condurre una fastosa e festosa vita di società, con ricevimenti del genere che una generazione dopo G. Scott Fitzgerald avrebbe reso celebre con i suoi romanzi. La stampa locale diede largo risalto, nelle cronache mondane, a quei festini, che parevano ricchi anche di ostentazione finanziaria, facendo anche qualche considerazione poco benevola su quello spreco di denaro. Warren si associò all’avvocato Brandeis (che sarebbe diventato, anni dopo, giudice della Corte Suprema), scrissero l’articolo e avviarono un’azione legale per protestare contro l’invadenza della stampa e per invocare dalle corti di giustizia il rispetto della sua vita privata, intesa peraltro non in senso strettamente individuale, ma in quello familiare. Anni dopo, la Corte Suprema riconobbe il right to privacy, che divenne una pietra miliare del diritto costituzionale americano, e non solo.
Leggete come chiudevano l’articolo Warren e Brandeis: «Il diritto comune ha sempre riconosciuto che la casa di un uomo è il suo castello, spesso inaccessibile anche a coloro che sono incaricati di eseguire i suoi stessi ordini. Vorranno forse i tribunali sbarrare l’ingresso principale alle autorità costituita per poi spalancare le porte di servizio alla curiosità oziosa e pruriginosa?».

(segue)



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