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NUMERO 16 - 06/08/2008

 Giustizia e politica: la responsabilità e la cultura, i limiti del diritto

Vorrei offrire alla riflessione aperta da Beniamino Caravita alcuni brevi spunti che, chiarisco sin d’ora, non intendono affrontare tutte le questioni aperte.
Ciò sia perché condivido molte delle osservazioni suggerite da altri interventi, che quindi potrei solo ripetere, sia perché vorrei provare a vedere il problema da un punto di vista che spesso in queste nostre discussioni appare in secondo piano.
Io penso, sinteticamente, che il ruolo che può giocare il diritto nel dirimere le questioni di sovrapposizione ed interferenza tra giustizia e politica è strutturalmente limitato. Questo, innanzitutto, per una sorta di “cortocircuito” inevitabile: la regola giuridica è prodotta dalla politica ma è applicata dalla magistratura, ragion per cui, tutte le ipotesi che cercano di eliminare o confinare il ruolo dell’uno o dell’altro potere sono destinate a fallire praticamente e, nel frattempo, ad alimentare una violenta conflittualità istituzionale.
Ma vi è un’altra ragione, a mio avviso più interessante, che vorrei ricordare: il fatto che il diritto non possa – o possa solo limitatamente – regolare una certa area di attività non vuol dire che in quell’ area non esistano regole o norme, cioè ragioni di comportamento cui ispirare le proprie azioni e rispetto alle quali essere responsabili. In queste delicate aree si apre, infatti, tutto lo spazio della “autoregolamentazione”, dell’ “autogoverno”, della “deontologia”, fenomeni normativi sui quali la nostra riflessione mi pare poco approfondita, presa com’è dalla progettazione legislativa o costituzionale.
 Nella “chiara e distinta” visione illuminista della disciplina dei poteri pubblici, il rapporto tra politica e magistratura è quello della più pura e netta separazione. Un conto e farsi carico della polis determinando le scelte collettive, un conto è l’applicazione di quelle scelte alle controversie che possono nascere tra i membri della collettività. E se è vero è che nel pensiero antico (greco e romano) queste funzioni tendevano a confondersi, già dal medioevo iurisdictio e gubernaculum iniziano a distinguersi
In ogni caso, sono le costituzioni liberali ad affermare chiaramente che la politica deve fare le leggi e la magistratura applicarle: due compiti, ripeto, chiari e distinti.
Nella sua versione rivoluzionaria francese questa distinzione poggiava sulla prevalenza assoluta della legge e la funzione del giudice era ridotta a quella di un funzionario statale « bocca della legge » che, in caso di dubbio, non poteva neanche scegliere una propria interpretazione, ma doveva riferirsi al parlamento; nella versione inglese, la separazione tra statutes e common law dava ai giudici un ruolo estremamente più forte e creativo, ma – sarà bene ricordarlo – giustificato della radicale ed originaria indipendenza della magistratura anglosassone rispetto al ceto politico.

(segue)



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